L’Agenzia delle Entrate ha la facoltà di avviare accertamenti bancari sui conti dei professionisti anche in assenza di segnali evidenti di evasione, o comunque di elementi ritenuti sufficientemente gravi da far scattare controlli fiscali approfonditi. Lo sottolinea la Corte di Cassazione con la sentenza numero 8266 del 4 aprile 2018, negando il ricorso di un commercialista soggetto a verifiche da parte dell’Amministrazione Fiscale perché titolare di due Partite IVA.
Un presupposto che, secondo la Cassazione, non rappresenta un debole indizio di evasione ma legittima pienamente l’attività di verifica fiscale.
L’Agenzia – cita la sentenza – non ha l’obbligo di motivare la ragione per la quale ricorre alle indagini bancarie, né il loro svolgimento presuppone elementi indiziari gravi, precisi e concordanti di evasione fiscale.
La sentenza fa riferimento alla normativa sulla presunzione legale (ex art.32 del P.R. n.600/1973), secondo cui un versamento è presumibilmente un ricavo o un compenso a meno che il contribuente non sia in grado di dimostrare il contrario. La decisione dei giudici, infatti, ribadisce questo diritto del contribuente di dimostrare che le operazioni siano estranee a fatti imponibili, sottolineando tuttavia come il Fisco possa indagare sui conti correnti anche senza l’esistenza di requisiti gravi.