L’imposta regionale, o Irap, è giù da tempo uno dei tributi più contestati dall’ordinamento tributario, fortemente osteggiata dalle aziende che si vedono penalizzate: questo vale soprattutto per le medie imprese, che da rilevazioni recenti sono risultate essere le più “tartassate“.
Ebbene, dopo dieci anni di l’Esecutivo che sta per insediarsi a Palazzo Chigi si appresta ora a metterla in discussione, fondamentalmente per tre motivi.
In primo luogo il nuovo Governo ha inserito nel suo programma l’intenzione di abolire la tassa in modo progressivo, iniziando con la riduzione del peso del tributo su interessi e costo del lavoro.
Su questo punto, tuttavia, è ancora da capire quale ruolo giocherà il decentramento fiscale, restio a perdere tale tributo.
Il secondo motivo è rappresentato dalle difficoltà applicative dell’imposta e nella determinazione del valore della produzione. Anche le ultime semplificazioni, introdotte con la finanziaria 2008, erano ferme alle grandi imprese. Le Pmi devono ancora dimenarsi tra una serie di regole e cavilli prima di riuscire a calcolare il valore della produzione.
Infine, il terzo motivo è il contenzioso sulla deducibilità o meno del’Irap ai fini delle imposte dirette, e sull’esenzione per i piccoli studi professionali. Un problema non da poco che, negli ultimi 14 mesi, nel 78,8% dei casi si è risolto con una sentenza della Corte Costituzionale a favore dei professionisti senza organizzazione che avevano fatto ricorso.
Fino ad oggi, nonostante le numerose sentenze emesse sull’argomento, la Suprema Corte non ha elaborato principi chiari e definitivi, da poter applicare in caso di controversie simili, così che ogni caso va valutato a sé.
Un danno per le aziende ma anche per il Fisco, che continua a spendere in battaglie legali.