Una recente sentenza emessa dalla Corte Europea dei Diritti Umani chiarisce in quali casi i datori di lavoro possono accedere ai file salvati nei pc usati dai dipendenti senza ledere la loro privacy e commettere, quindi, un’azione illecita.
Confermando la legittimità di una precedente sentenza emessa dai giudici francesi nei confronti dell’azienda che gestisce la rete ferroviaria nazionale, infatti, Strasburgo ha sottolineato come si possa parlare di violazione della privacy solo quando il datore di lavoro visiona uno o più documenti informatici conservati nei computer aziendali e definiti “privati”, una dicitura che dovrebbe impedirne l’apertura in assenza dello stesso lavoratore.
La sentenza
Stando ai fatti antecedenti la sentenza, le ferrovie francesi avevano disposto il licenziamento di un quadro dirigente dopo aver trovato sul suo pc una serie di file che non avrebbero dovuto essere salvati sul dispositivo. Contestando questa decisione, il dipendente aveva tuttavia chiesto l’annullamento della sentenza in virtù di una presunta violazione di privacy, non riuscendo però a portare a termine con successo i ricorsi avanzati.
Licenziamento legittimo
Sia i giudici francesi sia la Corte di Strasburgo, infatti, hanno dichiarato legittimo il licenziamento e nulla la presunta violazione della privacy sia perché i file aperti non erano classificati come privati (come impone il regolamento interno aziendale) sia perché occupavano una vasta porzione della memoria del pc.
Privacy e limiti
Non molto tempo prima – settembre 2017 – la Corte di Strasburgo è intervenuta anche riguardo la legittimità dei controlli sulla posta elettronica dei dipendenti da parte delle stesse aziende, sottolineando come per non essere considerati come mere violazioni della privacy e del diritto ad avere una vita privata e una corrispondenza queste verifiche debbano rispettare alcuni limiti precisi: in particolare, i lavoratori devono essere informati riguardo i controlli e questi ultimi devono essere effettuati per precisi scopi.