L’Italia produce più ricchezza che benessere

di Barbara Weisz

Pubblicato 5 Settembre 2016
Aggiornato 12 Febbraio 2018 20:37

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Ci sono l’indice di sviluppo umano, il Better Life Index dell’OCSE, il Genuine Progress Indicator (GPI), l’indice di benessere economico sostenibile: a voler cercare un minimo comune denominatore fra i diversi criteri per misurare la ricchezza alternativi al PIL (prodotto interno lordo), si può rilevare che l’Italia non brilla in nessuna delle graduatorie alternative. Fra i primi dieci produttori di ricchezza del mondo, in materia di benessere non è in nessun caso nemmeno fra i primi 20.

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Partiamo dall’indice di sviluppo umano, che dal 1993 l‘ONU utilizza per valutare la qualità della vita dei paesi: elaborato nel 1990 dall’economista pakistano Mahbub ul Haq, e poi seguito dall’economista indiano Amartya Sen, tiene conto di una serie di fattori oltre alla ricchezza pro capite, a partire da aspettativa di vita, istruzione, sanità. L’Italia è al 27esimo posto nel mondo, sul podio Norvegia, Australia e Svizzera. L’OCSE utilizza invece il Better Life Index, che ha debuttato nel 2011, e misura la qualità della vita in base a 11 parametri (relazioni sociali, istruzione, ambiente, impegno civile, salute, abitazione, reddito, lavoro, soddisfazione, sicurezza ed equilibrio lavoro-vita privata). L’Italia è al 25esimo posto, in prima posizione anche in questo caso c’è la Norvegia, seguono Australia, Danimarca e Svizzera.

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Ci sono poi una serie di indici alternativi messi a punto dagli economisti. Il GPI, genuine progress indicator (indicatore del progresso autentico), inserisce variabili sociali come sfruttamento dell’ambiente, criminalità,  divorzi, disoccupazione e tempo libero, e misura la differenza fra spese positive (beni e servizi) e spese negative (quindi costi, come la criminalità, l’inquinamento e via dicendo). L’indice di benessere economico sostenibile, che risale alla fine degli anni ’80, misura il benessere attraverso il rapporto ambiente-economia-società. In Italia l’istituto di statistica dal 2010 misura il benessere anche con un indice alternativo al PIL, il BES (benessere equo e sostenibile), che considera 12 diversi fattori (salute, istruzione e formazione, lavoro e conciliazione tempi di vita, benessere economico, relazioni sociali, politica e istituzioni, sicurezza, benessere soggettivo, paesaggio e patrimonio culturale, ambiente, ricerca e innovazione, qualità dei servizi. A livello internazionale, fra i primi paesi ad applicare un indicatore del benessere alternativi al PIl il Bhutan, con il Gross National Happiness Index. Altri programmi nazionali: il Canadian Index of Wellbeing (CIW), l’australiano Measures of Australia’s Progress , il programma britannico Measuring National Well-being.