Grecia e rischio default: un negoziato fallimentare

di Barbara Weisz

Pubblicato 29 Giugno 2015
Aggiornato 12 Febbraio 2018 20:38

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Cinque mesi di trattative per arrivare alla chiusura delle banche greche a tempo ormai quasi scaduto: in qualsiasi modo la si voglia vedere, la situazione che le istituzioni europee sono riuscite a creare lunedì 29 giugno (una data che con ogni probabilità passerà alla storia), è un dramma che si poteva e si doveva evitare. L’economista Giacomo Vaciago, dopo la rottura delle trattative fra Europa e Grecia di venerdì scorso, 26 giugno, ha dichiarato:

«se salta la Grecia, il presidente della Commissione Europea, Jean-Claude Juncker, il direttore generale dell’Fmi, Christine Lagarde, ma anche il cancelliere tedesco Angela Merkel e il presidente francese, François Hollande dovranno andare a casa. Sarà difficile dare la colpa solo a Tsipras».

La domanda è: non è che qualcuno dovrebbe andare a casa o quantomeno essere notevolmente ridimensionato, anche se la Grecia non salta? Perché, se l’accordo alla fine, verrà trovato, non si capisce per quale motivo non si potesse farlo prima. Arrivare a mettere in ginocchio un paese dell’Euro, costringendolo a chiudere le banche, è eccessivo. Del tutto eccessivo.

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L’economia e la finanza sono una cosa seria, forse a qualcuno fra coloro che ne detengono le redini a livello mondiale bisognerebbe spiegarlo. L’obiezione, naturalmente, è: a far precipitare la situazione non è stato il governo di Alexis Tsipras, che ha deciso di indire il referendum sul piano di salvataggio?

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Le riposte sono molteplici.

  • Certo, il governo greco era perfettamente consapevole della portata della propria decisione nel momento in cui l’ha presa, e certo non è il caso di minimizzarla. Ma il governo greco è stato eletto, pochi mesi fa, da una popolazione perfettamente consapevole del suo programma. Non solo: anche le istituzioni europee sono state rinnovate solo un anno fa, con un voto che (forse a Bruxelles non se ne sono accorti?) non ha premiato in alcun modo le politiche di austerity che l’Europa ha perseguito per anni. Mentre i vertici di altre istituzioni coinvolte nella trattativa, come il Fondo Monetario Internazionale, non sono elettivi.
  • In secondo luogo non sta scritto da nessuna parte che un referendum dovesse far saltare la trattativa. Questa è stata una scelta dei ministeri finanziari riuniti il 26 giugno. Emblematico il balletto delle firme: il titolare delle Finanze ellenico, Varoufakis, si è rifiutato di siglare un testo che i colleghi, invece, gli hanno chiesto di firmare. Traduzione politica: la Grecia si prende la responsabilità politica di aver indetto un referendum, non quella di aver fatto saltare la trattativa. Traduzione numero due: la Grecia è disponibile a riprenderla, la trattativa?

Qui il punto di domanda è d’obbligo, vista la situazione e le variabili in campo (quando si arriva agli estremi, i rischi aumentano, parecchio). Però, anche nelle ultime ore, dal governo greco le proposte per riaprire il negoziato sono arrivate. E i segnali di apertura arrivano anche dall’Europa, in particolare dallo stesso Jean Claude Juncker (presidente Commissione di Bruxelles), e dalla cancelliera tedesca Angela Merkel.

Le prossime ore ci diranno se tutte queste manifestazioni di disponibilità al dialogo sono un gioco allo scaricabarile oppure veri segnali distensivi. Nel frattempo, qualche considerazione si può fare. Qui, «non si tratta di giocare una partita di poker: qui o si perde o si vince tutti assieme» ha dichiarato proprio Juncker, con una frase riferita alle responsabilità del governo greco nella chiusura delle trattative.

Ebbene, il fatto è che l’impressione è proprio quella di assistere a una partita a poker, o a qualcosa che ci si avvicina molto. E forse, sia la Grecia sia l’Europa meritavano, e meritano, qualcosa di meglio.