Se un dipendente reagisce al bossing del superiore con un classico “vaffa…” non commette reato di ingiuria: lo sdoganamento dell’insulto al capo molesto è sancito dalla Corte di Cassazione. Ma attenzione: non tutto è lecito! Se invece della parolaccia a scappare è una minaccia (nella fattispecie “ti spacco la faccia”), penalmente il discorso cambia.
Vediamo il caso, esaminato dalla Cassazione con sentenza 4245 del 2013 e relativo ai diverbi fra capo e dipendente.
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Il lavoratore aveva risposto con la parolaccia a una serie di comportamenti vessatori del capo che, recita la sentenza, «aveva sottoposto il dipendente ad una vera e propria azione di mobbing», conclusasi con una «aggressione verbale».
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A questo punto, scatta la reazione, che si compone, a grandi linee, di un “vaffa…” poi accompagnato dalla minaccia sopra riportata. Ebbene, le due frasi hanno valore diverso.
In primo e secondo grado il dipendente viene stato dichiarato colpevole di ingiuria e minaccia.La Cassazione invece stabilisce che la parolaccia è di fatto una reazione alla condotta a sua volta ingiuriosa del capo. Applica quindi l’articolo 599 del codice penale, che riguarda appunto “ritorsione e provocazione”: in sostanza, «se le accuse sono reciproche il giudice può dichiarare non punibili uno o entrambi gli offensori». Non solo, la legge prevede anche che non sia punibile chi offende trovandosi in uno «stato d’ira determinato da un fatto ingiusto altrui, e subito dopo di esso».
Ma le minacce sono un’altra cosa. Il ricorrente si è difeso sempre giustificandosi con il contesto, spiegando che la minaccia non aveva l’obiettivo di «coartare la libertà psichica del soggetto passivo» ma era diretta «a prevenire un’azione illecita dello stesso». La Cassazione ritiene invece che non si sia trattato «di minaccia condizionata ad una possibile futura azione illecita» del capo, ma «di una reazione ad un atteggiamento ritenuto illegittimo».
La minaccia “ti spacco la faccia” ha una certa gravità , perché astrattamente tale da incutere timore. E le minacce sono punite dall’articolo 612 del codice penale, senza “esimenti”.
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