Da qualche tempo gli incentivi alle start up sembrano moltiplicarsi: con la crisi e la disoccupazione governo, investitori e incubatori d’impresa vi scommettono per fare innovazione e creare posti di lavoro. A voler essere ottimisti si direbbe che in Italia si respira un’aria nuova, fatta di iniziative di frontiera che stimolano l’economia e rinvigoriscono l’eccellenza italiana, “culla del sapere e del saper fare”. Ma è tutto oro quel che luccica?
Da Italiani consapevoli, meglio non creare false aspettative in giovani e meno giovani, che potrebbero essere indotti a pensare che fare impresa sia facile e immediato. Una start up fatica a vedere i primi guadagni. Il successo è sempre frutto di una buona idea imprenditoriale, che però da sola non basta. Al di là del business plan, ci vuole molta determinazione e molto lavoro.
in Italia il primo problema è farsi conoscere. E per questo si può ricorrere alle start up competion per presentarsi e fare rete. Poi bisogna trovare gli spazi fisici a buon mercato. E per questo si può ricorrere al coworking come quelli dell’acceleratore/incubatore Enlabs ed Università Luiss presso la stazione Termini di Roma (1400 mq da gennaio 2013).
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Il trend più stimolante per le aziende e i giovani startupper è l'ibridazione, ossia l’incubazione diretta delle nuove start-up in imprese grandi e piccole contaminandosi a vicenda. Al recente evento “Italian Rainforest“, organizzato da Telecom Italia nell'ambito del progetto Working Capital Accelerator, Greg Horowitt – guru internazionale dell'innovazione e coautore di “Rainforest: the secret to building the next Silicon Valley” – ha spiegato come sia possibile riprodurre in Italia l'esperienza della Silicon Valley.
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Ciò che fa la differenza è l'organizzazione dei gruppi, che dovrebbero trasformarsi in tribù sociali caratterizzate da fiducia e diversità , e da collaborazioni fruttuose e sperimentazioni con costi di transazione ridotti al minimo.