L’IPV6 e la sicurezza in azienda

di Alessia Valentini

Pubblicato 13 Novembre 2012
Aggiornato 12 Febbraio 2018 20:37

Lo sviluppo di Internet non riguarda solo la fruizione dei contenuti (da 1.0 a Web 2.0) ma anche le infrastrutture che lo supportano ed in particolare il suo protocollo di rete: l'IP (Internet Protocol): è infatti sempre più vicina la transizione dall’IPV4 all'IPV6, il nuovo sistema di indirizzamento Internet.

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Ragionevoli preoccupazioni in ambito sicurezza potrebbero tuttavia minare la fiducia dei siti, soprattutto delle imprese, che di conseguenza potrebbero non salire su questo treno dell’innovazione.

Ma cosa accadrebbe se iniziasse l’era IPV6 e nessuno si presentasse alla festa? Per non doversi porre il problema, è bene arrivare preparati, sciogliendo tutti i nodi.

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I PRO dell’IPV6

Il protocollo IPV4 è composto da 4 campi di 3 cifre separati ciascuno da un punto, che rappresenta un sistema di a 32 bit, pari a circa 4 miliardi di indirizzi.
Con questa configurazione, fino ad oggi è stato possibile gestire qualsiasi device collegato in rete, ma la sua capacità  si avvia all’esaurimento.

Ecco perché la transizione è inevitabile, anche se lenta e graduale.

Il protocollo IPV6 è composto da 6 campi da tre cifre ciascuno ed estende di 4 volte la capacità  di indirizzamento attuale, rappresentando un sistema a 128 bit che porta il numero di potenziali indirizzi ad un numero incredibile.

Grazie a tale potenza di indirizzamento, qualsiasi oggetto potrà  essere collegato in rete (compresi gli elettrodomestici): tutto potrà  trovare una sua collocazione digitale , comunicare e scambiare informazioni, realizzando quello che già  oggi è denominato l’Internet delle Cose (Internet of Things – IOT). Ne beneficeranno Cloud Computing, domotica, sistemi virtualizzati.

I rischi dell’IPV6
Ovviamente non è tutto rose e fiori. Come primo elemento di criticità , si deve considerare che l’IPV6 non è retro-compatibile con l’IPV4: imprese e privati dovranno considerare che il passaggio non sarà  indolore e si renderanno necessari almeno alcune implementazioni in parallelo prima del passaggio definitivo al nuovo sistema.

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La parte che richiede maggiore attenzione non è il Change Management ma l’aspetto sicurezza: al Forum ICT Security a Roma si è puntualizzato su come sia possibile e relativamente facile utilizzare l’IPV6 in modo alternativo per realizzare un attacco digitale ad un device basato su IPV6 riconfigurandolo dinamicamente per farlo integrare in una rete Botnet e spargere minacce digitali o peggio penetrandolo con un attacco DoS.

Il rischio è rimanere tagliati fuori dal mondo fisico a causa di un attacco digitale. E non parliamo dei danni che causerebbe ciò ad un’azienda.

Le minacce ci sono anche oggi, è ovvio, ma tanto maggiore è il numero di device collegati in rete tanto più grande è anche il numero dei potenziali target di attacco.

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Per proteggere l’IPV6 è prevista un’estensione delle autenticazioni e della sicurezza e un IPsec nativo del protocollo. Ma le falle vulnerabilità  ci sono e restano.

In soldoni, conoscendo ancora prima della migrazione i possibili rischi si potrà  arrivare preparati. E soprattutto si potrà  contenere la possibile sfiducia: in questo scenario potenzialmente critico l'effetto potrebbe essere inverso con una contrazione della domanda, o con una fuga dalle tecnologie abilitanti o una sua sostituzione con tecnologie e protocolli più sicuri.