Tra le imprese di uno stesso gruppo è consuetudine finanziare una delle aziende tramite un’altra controllata: un semplice trasferimento di denaro dal conto di un’azienda all’altra che, a livello contabile, presupporrebbe l’inserimento di una sopravvenienza attiva nel bilancio dell’azienda che riceve il denaro.
Se però questo trasferimento si qualifica come finanziamento, si possono risparmiare imposte, in quanto considerato non un ricavo ma un reperimento di risorse a pagamento non tassabili.
Attenzione però: questo tipo di operazione deve avere solidi presupposti o il Fisco punirà l’azienda.
Qualsiasi finanziamento, infatti, prevede una controparte economica, data in genere dalla restituzione del capitale nel tempo più interessi. Nel caso in cui venga a mancare questo presupposto e il trasferimento di denaro presenti anomalie come, ad esempio, la mancanza di un rimborso a scadenza, allora il finanziamento non è più da considerarsi come tale: trattasi, appunto, di sopravvenienza attiva che, come noto, è soggetta a imponibile Ires. E il Fisco, in caso di controllo, è pienamente legittimato a riqualificare l’operazione, sottraendo il contante che gli spetta.
La legittimità di tale comportamento è, peraltro, fuori dubbio: proviene direttamente dalla Corte di Cassazione, che con la sentenza n. 85/16/2012 della Ctp Milano ha specificato che, se l’operazione di finanziamento presenta alcune incongruenze, questa è ridefinibile. Il finanziamento, ha specificato la Corte, è infatti da considerarsi come “quel complesso di operazioni poste in essere dall’impresa con il fine di reperire le risorse necessarie con l’obbligo di restituzione del capitale, oltre interessi, a una scadenza che può essere fissa o rinnovabile”.
Si tratta, cioè, di un credito a breve termine. Se manca un piano di restituzione, mancano gli interessi, o manca addirittura la restituzione stessa dell’importo, allora l’ufficio è pienamente legittimato a considerare il finanziamento come una sopravvenienza imponibile.