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Riforma del lavoro: il modello Flexicurity

di Stefano Gorla

Pubblicato 26 Gennaio 2012
Aggiornato 12 Febbraio 2018 20:39

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Un sistema a cui può ispirarsi il Ministro del Lavoro Fornero per la riforma del lavoro italiano è rappresentato dal sistema definito Flexicurity e adottato dai Paesi Bassi e dai Paesi scandinavi.
Il caso danese rappresenta un indubbio successo e consente di riflettere su come realizzare anche in Italia un mercato del lavoro flessibile, caratterizzato da elevati flussi di entrata e di uscita, cioè da un più frequente cambio di posto di lavoro.

Il problema è costituito dalla compensazione al basso grado di protezione sul luogo di lavoro attraverso la sicurezza garantita da alti livelli dell’indennità  di disoccupazione. In sostanza si tratta di avere un sistema di ammortizzatori per cui viene fornito un reddito anche nei momenti nei quali viene a mancare il rapporto di lavoro.

Il modello: pro e contro

Al 2010 in Danimarca il tasso di occupazione era del 75%, quello di disoccupazione del 7,4% su una forza lavoro di circa 3 milioni di lavoratori.
Un disoccupato riceve un assegno compreso tra il 70% e il 90% dell’ultima retribuzione se ha versato i contributi all’assicurazione. Per coloro che sono privi di assicurazione interviene lo Stato danese che si accolla l’intero onere per un ammontare di circa 1300 euro, escludendo dal sussidio coloro che posseggono un’abitazione o un conto in banca.
Dal 2010 l’indennità  per i disoccupati è scesa da una durata di 4 a 2 anni, con il vincolo di aver lavorato 52 (invece delle precedenti 26) settimane nell’ultimo triennio.

Ma per consentire di trovare un lavoro è essenziale il funzionamento della rete dei Job Center, che gestiscono le politiche attive del lavoro. La loro azione si svolge attraverso l’assistenza ai disoccupati con le offerte di impiego, i percorsi di formazione e l’erogazione delle prestazioni.
Chi cerca lavoro ogni settimana deve rivolgersi – anche attraverso Internet – al Job Center e accettare le proposte inviate on line. Resta l’obbligo nel frattempo di partecipare a corsi di formazione e attivarsi nella ricerca di lavoro.
Il risultato è che circa 1/3 dei danesi cambia lavoro ogni anno e solo una sparuta minoranza di danesi non riesce a rientrare nel mondo del lavoro dopo l’espulsione.

Per assicurare un così alto livello di protezione sociale i Paesi scandinavi in generale hanno un alto livello di pressione fiscale. Così in Danimarca viene raggiunta la percentuale del 48,2% contro il 43,5% dell’Italia.

Nel marzo 2006 il Consiglio Europeo ha evidenziato la necessità  di sviluppare delle strategie che migliorino l’adattabilità  dei lavoratori e delle imprese ad un mercato del lavoro più flessibile.
Il Consiglio UE aveva chiesto allora agli Stati membri di bilanciare la flessibilità  con la sicurezza.
Il 20 aprile 2006, durante la “Stakeholder Conference on Flexecurity” la Commissione Europea ha presentato un suo rapporto al riguardo riconoscendo un approccio differenziato che consideri le differenze presenti nei vari Stati membri.

Con il Libro verde “Modernizzare il diritto del lavoro per rispondere alle sfide del XXI secolo” del novembre 2006, la Commissione Europea ha lanciato un dibattito pubblico nell’UE al fine di riflettere sul modo di far evolvere il diritto del lavoro in modo da ottenere una crescita sostenibile con più posti di lavoro di migliore qualità .

A questa consultazione è seguita nel giugno 2007 una Comunicazione della Commissione dedicata alla Flexicurity in cui vendono indicate le seguenti linee guida per aiutare gli Stati membri ad elaborare le loro strategie al riguardo:
a) accordi contrattuali flessibili per impresa e lavoratori;
b) misure per la formazione per assicurare la “continua adattabilità  e occupabilità  dei lavoratori”;
c) politiche attive del lavoro per facilitare il passaggio a nuovi posti di lavoro;
d) sistema moderno di sicurezza sociale “per provvedere ad un adeguato sostegno di reddito, incoraggiare l’occupazione, facilitare la mobilità “.

Come avvenuto in Danimarca, la Commissione Europea auspica l’intervento di accordi tra le parti sociali.

Nelle 5 Raccomandazioni UEall’Italia (pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale del 21 luglio 2011) in relazione al mercato del lavoro viene specificato di “rafforzare le misure intese a combattere la segmentazione del mercato del lavoro, anche rivedendo aspetti specifici della legislazione a tutela dell'occupazione, comprese le norme e le procedure che disciplinano i licenziamenti, e rivedendo il sistema di indennità  di disoccupazione, attualmente frammentario, tenendo conto dei vincoli di bilancio. Intensificare gli sforzi intesi a contrastare il lavoro non dichiarato. Adottare inoltre misure per promuovere una maggiore partecipazione delle donne al mercato del lavoro, aumentando la disponibilità  di asili e servizi di assistenza in tutto il paese e fornendo incentivi finanziari alle persone che costituiscono la seconda fonte di reddito familiare per accedere ai posti di lavoro in un modo neutro in termini di bilancio”.

E’ evidente che non è possibile importare tout court il modello danese in Italia ma è altrettanto necessario riflettere sulle riforme necessarie del mercato del lavoro per attuare la strada del “Cresci-Italia“.