Ubi maior, minor cessat: questa antica massima vale persino per i temibili controlli fiscali. Avere la fedina fiscale non proprio immacolata non comporta infatti la mancata corresponsizione degli incentivi alle imprese.
La verifica di regolarità fiscale Visco-Bersani introdotta nel 2006, che impone alle P.A. in procinto di effettuare pagamenti superiori ai 10mila euro di controllare se il destinatario sia in regola con le cartelle di Equitalia, deve infatti cedere il passo all’erogazione dei contributi, che per lo Stato ha un interesse ancora maggiore.
A specificare l’orientamento di cui sopra è stata la Ragioneria generale: in una nota ha spiegato che la volontà del soggetto attuatore dell’erogazione in materia di contributi “non ha alcun rilievo”, in quanto il suo unico compito è quello di svolgere “un mero controllo sul possesso dei requisiti fissati dalla legge”.
Il motivo di questo tipo di atteggiamento sta essenzialmente nel fatto che gli incentivi sono finalizzati a raggiungere obiettivi legati al soddisfacimento del benessere della collettività . Una ragione sufficiente, questa, per poter affermare che “l’interesse pubblico sotteso all’erogazione delle provvidenze economiche sia preminente rispetto alla procedura di verifica”.
Gli incentivi, pertanto, sono e rimangono intoccabili. Le imprese con tasse arretrate posso e devono ricevere comunque i contributi, perché questi danno un apporto importante all’economia del paese. Il controllo della fedina fiscale viene invece effettuato solo nel momento in cui una sentenza, anche non definitiva, sancisce l’obbligo di pagamento.