Si chiamano “Reti di aggregazione” per Pmi e con questo termine non si intende certo che le piccole e medie imprese di eccellenza sul territorio italiano debbano fondersi rinunciando alle loro specificità . Vuol dire invece mettere in comune quei processi – come la distribuzione, l’approvvigionamento, l’export e gli allestimenti fieristici – che consentono di sfruttare al meglio le economie di scala, riducendo i costi e divenendo più efficienti.
I “contratti di rete” sono stati introdotti nel 2010 dalla legge 122 e consistono in accordi per cui due o più imprese si impegnano a esercitare in comune una o più attività originariamente rientranti nei loro oggetti sociali.
Numerose sono le agevolazioni a contratti di questo tipo: per il 2011 quasi tutte le Regioni hanno previsto stanziamenti a tasso agevolato o a fondo perduto (da 2.500 a 100.000 euro) per finanziare le fasi di avvio dei contratti. Inoltre fino al 2013 gli utili investiti negli obiettivi del contratto di rete saranno detassati fino al 75%, in base al numero di domande ricevute dall’Agenzia delle Entrate.
Il perché di tutta questa attenzione, presente già da alcuni anni, è molto semplice: l’obiettivo è quello di creare, nel giro di poco tempo, alcuni distretti di filiera che potenzino l’economia italiana e favoriscano i piccoli e medi imprenditori nella competitività a livello internazionale. Un po’ come avviene già da ora per i distretti manifatturieri, veri e propri pionieri su questo fronte già a partire dagli anni Novanta: lì le aggregazioni sono già una realtà , soprattutto in materia di promozione estera e tutela dei marchi.
In conclusione, il contratto di rete è destinato a condizionare sempre di più le piccole e medie imprese e non mancano già da ora aziende che offrono servizi alle imprese che decidono di aggregarsi per diventare più competitive.