Pagamenti in contanti versati in somme ingenti possono essere la spia di una possibile evasione fiscale. Lo ha stabilito la Cassazione, secondo cui questa pratica non solo vìola le norme sull’antiriciclaggio ma giustifica il fatto che l’ufficio entrate metta in atto un sequestro preventivo.
In particolare, con la sentenza 15583 del 15 luglio, la Corte si è espressa in maniera negativa di fronte alla tesi di un imprenditore che aveva sostenuto di aver pagato delle fatture in contanti per un ammontare di 250 mila euro. Una cifra che, secondo l’ufficio entrate, non era credibile a causa dell’importo elevato e che andava a coprire invece una evasione fiscale per mezzo dell’emissione di fatture false.
In questo caso è importante rilevare che il Fisco per avere ragione non ha avuto la necessità di presentare delle prove certe: è stato ritenuto sufficiente dalla Corte l’accertamento induttivo, per cui “l’inesistenza di passività o le false indicazioni possono essere desunte anche sulla base di presunzioni semplici, purchè gravi, precise e concordanti”. In altre parole un semplice sospetto, minimamente giustificato dal controllo incrociato di alcuni dati, può far scattare la contestazione al contribuente di emissione di fatture false.
Un pagamento in contanti di una certa entità , non supportato da prove documentali che dimostrino l’effettivo pagamento stesso, rientra dunque tra i casi di indagine relativi alla normativa antiriciclaggio e, di conseguenza, richiede la necessità di una traccia dell’effettivo versamento.
Nel caso in cui questa sia assente non solo si rischia di incorrere nell’accusa di riciclaggio, ma si corre anche il rischio che il fisco presupponga una finta emissione di fatture false per ottenere detrazioni fiscali. La conclusione di tutto ciò non può essere che un invito a stare attenti: i pagamenti in contanti sono pericolosi.