Una dipendente di azienda ha proposto ricorso per Cassazione contro la sentenza con la quale la Corte d’appello di Brescia l’aveva condannata per reati di truffa a danno di enti previdenziali ed emissione di fatture false, con conseguente irrogazione della pena detentiva.
Con la sentenza 4638 del 9 febbraio, dunque, la Corte di Cassazione torna a occuparsi del reato di “emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti“.
I comportamenti contestati, penalmente rilevanti, teoricamente dovrebbero essere attribuiti esclusivamente alla responsabilità del datore di lavoro: la segretaria lamentava di aver solo eseguito degli ordini e che la sua attività materiale di compilazione dei documenti non assumeva alcuna rilevanza all’esterno.
Nel caso in esame, però, i giudici di legittimità hanno ricordato che, trattandosi di un reato comune, la fattispecie criminosa può essere realizzata non solo dal contribuente ma anche da terzi che, pur non rivestendo la qualifica di soggetto passivo dell’imposta, agiscano al fine di consentire l’evasione fiscale o un indebito rimborso a un contribuente.
Con riferimento alla condotta tipica, la compilazione delle fatture ha permesso alla dipendente di apportare il proprio contributo causale alla verificazione del fatto, partecipando materialmente all’esecuzione del reato e concorrendo, quindi, con il datore di lavoro all’emissione di fatture false.
Alle stesse conclusioni di concorso nel reato di emissione di fatture false, la Corte è pervenuta con riferimento alla condotta del cliente e del commercialista che, d’accordo, avevano emesso fatture false al fine di consentire a un terzo l’evasione d’imposta.
A buon intenditor…!