Diecimila imprese chiuse in meno rispetto all'anno scorso mentre 4.700 sono le società neonate. Il saldo è ancora negativo ma sono pur sempre valori che ci fanno sperare. L'oggetto del discorso è sempre quello: la crisi economica.
E in questo periodo il senso di frustrazione aumenta osservando la situazione degenerata in Grecia. Un po' quello che qualche anno fa capitò all'Agentina. Solo che questa volta gli imprenditori italiani hanno due motivi per non dormire sonni tranquilli: intanto stanno ancora medicando le ferite che la congiuntura economica mondiale ha lasciato; immediatamente dopo si paventa la troppa vicinanza che l'Italia ha con la Grecia. Preoccupa loro un inevitabile coinvolgimento, un colpo di coda della crisi economica che questa volta sarebbe determinante per molte più imprese.
Anche per questo è importante che tutti i Paesi si attivino per dare un aiuto. Aiutare la Grecia vuol dire anche aiutare se stessi.
Alcune imprese hanno soltanto da poco ripreso la produzione. Il mese di marzo ha infatti segnato una lieve ripresa. Poca roba ma è già qualcosa: un flebile raggio di sole che filtra prepotentemente nel vasto cielo plumbeo.
E le imprese? Come al solito è alle imprese che viene chiesto di sostenere l'ennesimo sforzo. Occorre perseguire i propri obiettivi, cercare in tutti i modi di incrementare le vendite e ridurre gli sprechi. Ma ora più che mai le Pmi devono imparare a essere coese. Per uscire dalla crisi, le imprese italiane, fermo restando il concetto di indipendenza, devono associarsi, dialogare tra di loro, fare gioco di squadra, insomma, restare unite e realizzare un fitta rete. Se l'impresa rimane sola diviene più vulnerabile e facilmente aggredibile dalla crisi economica. Le società concorrenti non devono essere viste come avversari o rivali ma piuttosto deve diffondersi sempre più la concezione che la sinergia sviluppata da un legame di imprese omogenee potenzia esponenzialmente la somma dei benefici ottenuti autonomamente da ogni singola impresa.