Collegato Lavoro: come cambia il rapporto azienda-dipendente

di Roberto Grementieri

Pubblicato 24 Marzo 2010
Aggiornato 12 Febbraio 2018 20:41

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Dopo aver focalizzato sulle prime novità  legate all’approvazione del Ddl Collegato Lavoro alla Finaziaria 2010, proseguiamo la disamina del testo per capire, punto per punto, cosa comporta in termini di nuovi obblighi o procedure per le aziende e i dipendenti.


Conciliazione e arbitrato

Ridisegnata la sezione del codice di procedura civile recante le disposizioni generali in materia di controversie individuali di lavoro, trasformando il tentativo di conciliazione in una fase meramente eventuale e introducendo una pluralità  di mezzi di composizione delle controversie di lavoro alternativi al ricorso al giudice.

In particolare, per quanto riguarda la conciliazione, si chiarisce che può essere proposta, anche, tramite l’associazione sindacale alla quale l’interessato aderisce o conferisce mandato.

Se la controparte intende accettare la procedura di conciliazione, deposita presso la commissione di conciliazione, entro 20 giorni dal ricevimento della copia della richiesta, una memoria contenente le difese e le eccezioni in fatto e in diritto, nonché le eventuali domande in via riconvenzionale.
Ove ciò non avvenga, ciascuna delle parti è libera di adire l’autorità  giudiziaria.

Entro i 10 giorni successivi al deposito, la commissione fissa la comparizione delle parti per il tentativo di conciliazione, che deve essere tenuto entro i successivi 30 giorni.
Se non si raggiunge l’accordo tra le parti, la commissione di conciliazione deve formulare una proposta per la bonaria definizione della controversia.

Se la proposta non è accettata, i termini di essa sono riassunti nel verbale con indicazione delle valutazioni espresse dalle parti. Delle risultanze della proposta formulata dalla commissione e non accettata senza adeguata motivazione il giudice tiene conto in sede di giudizio.

Impugnazioni dei licenziamenti individuali
Modificate le disposizioni relative alle modalità  e ai termini per l’impugnazione dei licenziamenti individuali.

Intanto, si prevede un termine per l’impugnativa del licenziamento di 60 giorni dalla ricezione della sua comunicazione o dalla comunicazione dei motivi, ove non contestuale.

L’impugnazione può essere effettuata con qualsiasi atto scritto, anche extragiudiziale, idoneo a rendere nota la volontà  del lavoratore, anche, attraverso l’intervento dell’organizzazione sindacale diretto a impugnare il licenziamento stesso.

L’impugnazione è inefficace se non è seguita, entro il successivo termine di 180 giorni, dal deposito del ricorso nella cancelleria del tribunale in funzione di giudice del lavoro o dalla comunicazione alla controparte della richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato.

Qualora la conciliazione o l’arbitrato richiesti siano rifiutati o non sia raggiunto l’accordo necessario al relativo espletamento, il ricorso al giudice deve essere depositato a pena di decadenza entro 60 giorni dal rifiuto o dal mancato accordo.

Il termine di decadenza di 60 giorni si applica anche a tutti i casi di invalidità  e di inefficacia del licenziamento.

Inoltre la decadenza di 60 giorni si applica: ai licenziamenti che presuppongano la risoluzione di questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro ovvero alla legittimità  del termine apposto al contratto; al recesso del committente nei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa; al trasferimento da una unità  produttiva a un’altra, con termine decorrente dalla data di ricezione della comunicazione di trasferimento; all’azione di nullità  del termine apposto al contratto di lavoro.

Sempre la decadenza di 60 giorni si applica, pure: ai contratti di lavoro a termine in corso di esecuzione alla data di entrata in vigore della presente legge, con decorrenza dalla scadenza del termine; e ai contratti di lavoro a termine già  conclusi alla data di entrata in vigore della presente legge, con decorrenza dalla medesima data di entrata in vigore della presente legge.

Nei casi di conversione del contratto a tempo determinato, il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del lavoratore stabilendo un’indennità  onnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 e un massimo di 12 mensilità  dell’ultima retribuzione globale di fatto.