Con un recente provvedimento, il Ministero dello Sviluppo Economico ha “decretato” la fine degli incentivi alle convenzioni CIP 6 che agevolano i produttori di energia elettrica da fonti rinnovabili e assimilate.
Il regime di incentivazione in vigore dal 1992 non è, infatti, ritenuto più efficiente rispetto all'odierno mercato liberalizzato e grava sui prezzi dell'elettricità di tutti gli utenti, incluse le Pmi.
In base a quanto già previsto dalla Legge Sviluppo, potranno essere risolte anzitempo le convenzioni CIP 6/92 che stabiliscono prezzi incentivati per l'energia elettrica prodotta, tra l'altro, da impianti alimentati da:
- combustibili di processo o residui o recupero di energia (gassificazione tar, gas siderurgici, ecc.);
- combustibili fossili (per esempio gas naturale e carbone)
La capacità produttiva degli impianti potenzialmente interessati dal provvedimento è stata stimata in 3.300 MW, l'80% del totale dell'energia incentivata dal CIP 6 con la possibile uscita, dalla produzione di energia, di quegli impianti considerati meno efficienti. In che modo questa mancata produzione (se i produttori dovessero aderire) sarà sostituita?
Ai produttori che aderiranno volontariamente alla risoluzione anticipata saranno riconosciuti corrispettivi per contenere gli oneri che graverebbero sulle utenze di consumatori ed imprese nel caso le convenzioni andassero a scadenza naturale, compensando comunque gli investimenti effettuati. In buona sostanza una sorta di “buonuscita” offerta ai conduttori di impianti convenzionati per uscire dalla produzione prima delle scadenza. Sarà l’incentivo ad uscire più conveniente dell’incentivo a restare?
Attualmente i produttori di energia elettrica con impianti in convenzione CIP 6/92 cedono l'energia prodotta al GSE ad un prezzo determinato dalla somma di:
- costo evitato di impianto,
- costo evitato di esercizio, manutenzione e spese connesse,
- costo evitato di combustibile e ulteriore componente incentivante correlata alla tipologia di impianto (per i primi 8 anni di esercizio).
Il rinvio a un successivo provvedimento, inoltre, non risolve (almeno per il momento e non del tutto) la annosa questione legata alla produzione di energia elettrica “incentivata” (e a carico della collettività ), utilizzando fonti difficilmente inquadrabili nella categoria “rinnovabili” ultimamente oggetto di investimento da parte di molte Pmi.
L’utilizzo del termine “fonti assimilate” alle rinnovabili, nella normativa italiana ha consentito infatti l’incentivazione della produzione di energia elettrica ottenuta ad esempio dall’incenerimento dei rifiuti (termovalorizzazione) aprendo tra l’altro un dibattito interpretativo sia in sede nazionale che comunitaria.