Nel recente recente libro “Punk capitalismo” Matt Mason analizza la nascita di una nuova cultura giovanile capace di apportare innovazioni nel sistema del libero mercato.
Sono i così detti punk capitalisti, giovani che uniscono altruismo e individualismo per competere in modo innovativo nel libero mercato, e con livelli d'innovazione che non sarebbero raggiungibili con le tradizionali pratiche e modelli di business.
Questa nuova generazione di knowledge workers, liberi professionisti o imprenditori, sono persone molto orientate all'innovazione, anche perché usano quotidianamente il web e frequentano i social network per lavorare o stringere contatti.
Il loro potere deriva proprio dalla costante interconnessione nei luoghi della Rete, dove i punk capitalisti competono e condividono informazioni, favorendo l'emergere di nuovi modelli di business.
Se tali modelli saranno recepiti e integrati nel mercato, potrebbero creare nuove risorse in termini economici, tecnologici e sociali.
Il punk capitalismo è, infatti, formato da reti informali open source interconnesse e molto efficienti; un grande network che affianca il libero mercato, anche se ne condivide in parte la cultura capitalista.
Comportarsi da pirata, a detta dell'autore del testo, significa creare valore per il mercato con nuovi spazi in cui produrre ricchezza scambiando conoscenze, per poi offrirle alla comunità in una prospettiva di continuo miglioramento (come fanno i sostenitori dell'open source).
Quella dei punk capitalisti è quindi nuova cultura giovanile che non contrasta il capitalismo, ma cerca con la tecnologia e la creatività di superarne i limiti, anche adottando logiche che agli occhi delle grandi aziende potrebbero risultare incomprensibili.