L’Italia guida la classifica europea per più alto carico fiscale sul lavoro. A rivelarlo è l’Eurostat, l’ufficio statistico dell’Unione Europea, in base al confronto effettuato sui dati relativi al 2007.
Dalla lettura dei numeri emerge che il maggior carico fiscale sul lavoro risulta essere quello dell’Italia (44%), dunque, ben al di sopra della media comunitaria (che si attesta al 34,3% nell’area euro).
All’Italia seguono Svezia (43,1%) e Belgio (42,3%), mentre i livelli più bassi sono appannaggio di Malta 20,1%, Cipro 24% e Irlanda 25,7%.
Danimarca (59%), Svezia (56,4%), Belgio (53,7%), Paesi Bassi (52%) e Finlandia (50,1%) registrano le maggiori aliquote sui redditi delle persone fisiche mentre le minori si riscontrano in Bulgaria (10%), Repubblica Ceca (15%), Romania (16%), Slovacchia (19%) e Estonia (21%).
Con particolare riferimento all’Italia, tra il 2000 e il 2008 l’aliquota massima applicata ai redditi delle persone fisiche è calata di un punto (dal 45,9 al 44,9%).
La tassazione sui redditi d’impresa tocca i livelli più alti a Malta (35%), in Francia (34,4%), in Belgio (34%), in Italia (31,4%) e Spagna (30%). I tassi più bassi sono registrati in Bulgaria e a Cipro (10%), in Irlanda (12,5%), in Lettonia (15%) e in Romania (16%).
Il minor ricorso fiscale sui consumi spetta nel 2007 alla Grecia (15,4%), alla Spagna (15,9%), all’Italia (con il 17,1%), alla Lituania (17,9) e alla Romania (18,1%).
I più alti tassi sono il 33,7% della Danimarca, il 27,8% della Svezia, il 27,1% dell’Ungheria, il 26,9% del Lussemburgo e il 26,8% dei Paesi Bassi.
Le tasse italiane sulla benzina rappresentano l’1,5% del Pil, contro l’1,4% dell’Ue a 27 e della zona euro.
Il miglior rapporto spetta all’Irlanda e alla Grecia (1,1%) il peggiore al Lussemburgo (2,4%).
Con riferimento al caso italiano, dunque, emergerebbe un dato negativo dell’imposizione sul lavoro. Questa misura, comparata con quella dei competitor europei, potrebbe incidere sfavorevolmente tanto sul fronte della competitività aziendale domestica quanto sul settore dei salari.
Al riguardo, un esempio può rendere più chiara la portata dei singoli numeri.
Si ponga l’ipotesi che un lavoratore italiano percepisca una busta paga di 1.000 euro. Questo, costa all’azienda, per ragioni fiscali, circa 1.785 euro contro i 1.515 euro di un’impresa europea.
Tale differenza si riverbera sia sui costi del prodotto che sulle possibilità di conquista del mercato. A parità di costo per l’azienda, per l’impresa italiana che sborsa 1.785 euro per un lavoratore (che intasca 1.000 euro) un’azienda media europea, spendendo la stessa cifra, fa “intascare” al lavoratore europeo 1.178 euro.