Il regime dei depositi fiscali IVA

di Roberto Grementieri

Pubblicato 8 Giugno 2009
Aggiornato 12 Febbraio 2018 20:42

logo PMI+ logo PMI+

La direttiva 2006/112/Ce prevede la facoltà  per tutti gli Stati membri di non assoggettare a imposta IVA i beni non destinati al consumo finale. Tale istituto permette agli operatori, nazionali, comunitari ed extracomunitari, di effettuare operazioni in sospensione d’imposta sui beni nazionali o comunitari, senza obblighi immediati di pagamento dell’imposta, la quale dovrà  essere liquidata e versata soltanto in seguito, nel momento in cui gli stessi beni lavorati ovvero solamente custoditi, saranno estratti dal deposito.

La disciplina prevede che i beni possano essere introdotti nel deposito fiscale per essere custoditi, sempre che non siano destinati a un utilizzo o a un consumo finale e che, al momento dello svincolo dal regime, l’imposta da corrispondere sia pari a quella che sarebbe stata dovuta se le operazioni fossero state effettuate nel territorio dello Stato italiano.
Tra i soggetti abilitati alla gestione dei depositi sono ricompresi quelli che gestiscono i depositi doganali e, in particolare imprese esercenti magazzini generali aventi autorizzazione doganale; imprese esercenti depositi franchi od operanti nei punti franchi; depositi fiscali per i prodotti soggetti ad accisa; depositi doganali, ivi compresi quelli per la custodia e la lavorazione delle lane.

Tutti coloro che gestiscono i depositi IVA hanno l’obbligo di:
1) istituire un apposito registro, anteriormente alla prima operazione di deposito, per evidenziare le movimentazioni dei beni;
2) conservare i documenti comprovanti l’introduzione e l’estrazione delle merci, nonché quelli relativi alle operazioni effettuate sulle stesse secondo i termini stabiliti dalle norme di legge.

L’articolo 16, comma 5-bis, del Dl 185/2008, ha fornito un’interpretazione autentica del comma 4, lettera h), dell’articolo 50-bis, necessaria per inquadrare le prestazioni di servizi compiute su beni consegnati al depositario, materialmente effettuate al di fuori del deposito ma necessarie per l’introduzione nello stesso.

La norma, di per sé, precisa che i beni da custodire all’interno del deposito possono essere oggetto di operazioni di perfezionamento e manipolazioni usuali senza scontare l’IVA.

L’interpretazione fornita dal decreto legittima quali corretti i comportamenti che, fino a oggi, consistevano nel trainare i container negli spazi limitrofi al deposito, per poi procedere alle diverse operazioni sulle merci, senza un’effettiva introduzione nei locali adibiti a deposito.

Il depositario esercita in tal modo il suo diritto sui beni, fruendo del regime sospensivo dell’IVA per il tempo necessario all’effettuazione delle prestazioni; tempo che, ai sensi della citata lettera h), non deve essere superiore a sessanta giorni.

Si intendono limitrofi quei locali che, pur non costituendo parte integrante del deposito, sono a questi funzionalmente e logisticamente collegati in un rapporto di contiguità  e comunque rientranti nel plesso aziendale del depositario, qualunque sia il titolo di detenzione.

L’introduzione dei beni in deposito implica, da un lato, l’applicazione del regime di sospensione dell’imposta, per cui le operazioni sono considerate non assoggettate a IVA e non danno luogo alla riscossione dell’imposta; dall’altro, gli acquisti di beni relativi a tali operazioni non danno luogo, per l’operatore soggetto passivo, a detrazione dell’imposta pagata.

Nel momento dell’estrazione dei beni dal deposito, il soggetto passivo di imposta, nazionale o estero, deve procedere a emettere autofattura al fine di assoggettare all’imposta il bene non più ricompreso nel regime sospensivo. La base imponibile è costituita dal corrispettivo o valore dell’ultima transazione, considerando l’importo delle eventuali operazioni effettuate sul bene durante il periodo di giacenza nel deposito, fino all’estrazione.