Hi-Tech, traino per l’economia del Paese

di Alessandra Gualtieri

Pubblicato 2 Luglio 2008
Aggiornato 12 Febbraio 2018 20:43

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Cresce l’internazionalizzazione delle imprese italiane, aumentano le esportazioni di prodotti tecnologici e si consolida l’industria dell’Hi-Tech, sempre più leva di traino dell’economia del Paese.

Questi alcuni dei dati di sintesi del rapporto Censis diffuso nei giorni scorsi a fotografare l’andamento di un’economia nazionale soffocata da un carovita da molti sentito come “senza precedenti” e contraddistinta dall’ascesa di “minoranze vitali” che si fanno largo nel mondo del Lavoro.

La vignetta di OneBlog sembra, ironicamente, riflettere un sentito comune: il costo della vita aumenta, la corsa ai beni di consumo cala, eppure l’Hi-Tech tiene. Complice, anche, una buona dose di lungimirante innovazione di nella produzione (tanto nei processi quanto nei prodotti) cui l’industria italiana si fa da tempo portavoce?

Forse. Certo è che l’Italia – lo dice il Censis – mantiene la leadership nel mercato europeo dell’Hi-Tech, con oltre 33mila aziende attive ed una quota pari al 24%.

Un altro dato degno di nota è la crescita dei brevetti registrati: +40,3% nel 2007 e tutti focalizzati intorno ai principali universitari del Paese, che sono riusciti ad attrarre ben il 18,5% dei finanziamenti pubblici destinati alla ricerca applicata ed erogati a livello ministeriale.

Dopo un 2007 all’insegna della Ricerca e dello Sviluppo per ridare slancio alla produzione e restituire un buon livello di competitività , il 2008 potrebbe essere l’anno dell’internazionalizzazione, protagonista di innumerevoli iniziative, programmi, finanziamenti e piani di supporto alle imprese.

Il Censis ci dice che nell'ultimo anno le imprese italiane si sono espanse negli Stati Uniti (21 acquisizioni), Germania (13), Inghilterra (10) e Francia (9). Certamente non stiamo parlando di piuccole imprese, ma la tendenza è interessante.
Tra l’altro, il 52,1% delle aziende con più di 50 addetti esporta all’estero. Non solo, il 13,4% ha puntato all’internazionalizzate per guadagnare cui costi gestionali, spostando all’estero alcune funzioni e attività , anche “core”.

La spinta? Accedere ai nuovi mercati (53,9%), abbattere i costi del lavoro (49,5%9, beneficiare di un regime fiscale meno oneroso (19%). Quest’ultimo punto, forse, dovrebbe far riflettere i nostri decisori politici.

Se almeno i dati del Rapporto Assinform 2008 sul mercato italiano dell’ICT fossero più incoraggianti però…
Per quanto la crescita dell’IT in Italia ci sia e sia costante, è anche vero che non arriva mai a quei numeri che confermino il cambio di cultura: è vero che l’innovazione costa, ma ormai non si tratta più di investimenti di lungo termine. Le ICT sono diventati strumenti per la competitività  già  a breve e medio termine, e le piccole imprese lo hanno capito ancor più delle Pmi stesse!