Contratti e retribuzioni: un tema delicato che può avere effetti significativi in termini di politiche aziendali, soprattutto per le aziende che muovono i primi passi all’estero. Se manca un preciso quadro normativo, da applicare al mercato europeo, tuttavia, le ripercussioni possono essere molto gravi.
In questi giorni la questione è tornata alla ribalta, rispolverando un problema annoso: da diverso tempo, infatti, dal Parlamento Europeo arriva la richiesta di garantire la piena applicazione della Direttiva 96/71/CE soprattutto in relazione alle modalità di retribuzione dei dipendenti che si trovino ad operare all’estero. In particolare, la questione sul tappeto è se sia il caso o meno di “distaccare la retribuzione dei lavoratori nell’ambito della prestazione di servizi”, per proteggerli dal dumping sociale, ossia il mancato rispetto delle leggi e dei contratti di lavoro.
A far discutere in questo periodo sarebbe una sentenza riguardante l’interpretazione proprio della Direttiva 96/71/CE che si rifà all’art.49 del Trattato istitutivo della Comunità europea. Ebbene, secondo alcuni, essa incoraggerebbe il dumping sociale.
Lo scorso giovedì 3 aprile 2008, infatti, la Corte Europea di Giustizia – richiamandosi alla libera prestazione dei servizi – si è espressa in difesa del salario inferiore agli stranieri, legittimando così l’assunzione dei dipendenti stranieri con un salario più basso rispetto a quello minimo previsto dal contratto collettivo vigente nel Paese d’origine.
Ma facciamo un passo indietro e vediamo cosa è successo.
Una società edile tedesca (Objekt und Bauregie), dopo aver vinto l'appalto pubblico per la costruzione di un carcere a Gottingen-Rosdorf nella Bassa Sassonia ed esser ricorsa in subappalto per una parte dei lavori a un’impresa polacca, ha denunciato quest'ultima a causa della retribuzione. Gli operai ricevevano infatti un salario inferiore di circa la metà (46,5%) rispetto alla retribuzione minima prevista dal contratto collettivo del Land Bassa Sassonia, mentre una delle condizioni per ottenere l’appalto era proprio quella di pagare ai propri addetti salari almeno pari al minimo previsto.
Il Land Bassa Sassonia si è dunque appellato alla Corte di giustizia europea avanzando la richiesta che l’impresa subappaltatrice polacca venisse condannata al pagamento di una penale di 85.000 euro prevista in caso di mancato rispetto delle condizioni (ovvero l’1% del valore dell’appalto) per la violazione all’obbligo relativo alle retribuzioni.
Ma la giustizia europea non è stata della stessa opinione e non gli ha dato ragione, legittimando dunque l'azienda polacca a pagare i propri impiegati distaccati in Germania meno di quanto preveda il salario minimo previsto dalla contrattazione collettiva applicabile.
La giustificazione a tale decisione è stata che il livello salariale fissato da una convenzione collettiva che non è stata dichiarata d’applicazione generale, quindi non può essere imposto attraverso una misura legislativa di uno Stato membro ai prestatori di servizi transnazionali che distaccano dei loro agenti sul territorio di quello stesso Stato membro.
La Corte sembra così confermare l'orientamento, mostrato già in passato nelle cause di Tetra-Laval e Viking, di privilegiare la libera prestazione di servizi in tutta l’UE e rimuovere ogni ostacolo al suo esercizio.
Subito, si è sollevato il dissenso generale contro quella che viene ritenuta una tendenza della Corte Ue a considerare non applicabile ai lavoratori esteri distaccati in un Paese membro l’obbligo di rispettate le condizioni definite dalla contrattazione collettiva locale.
Opinione comune è che la Commissione dovrebbe fornire orientamenti più precisi e lo Stato membro ospitante dovrebbe quindi poter richiedere al prestatore di servizi una dichiarazione preventiva per verificare il rispetto delle condizioni occupazionali. Andrebbe anche migliorato lo scambio di informazioni fra Stati membri per rendere possibile l'applicazione efficace della direttiva del Parlamento Europeo.
Lo stesso Parlamento ha invitato tempo addietro la Commissione a sostenere attivamente la cooperazione fra organismi di controllo negli Stati membri, per mezzo di una piattaforma europea permanente che agevoli la cooperazione transfrontaliera.