Lo Spam? Una risorsa di marketing per la PMI che legge la legge

di Vincenzo Zeffiri

Pubblicato 26 Novembre 2007
Aggiornato 12 Febbraio 2018 20:45

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Tutti ormai sanno di cosa si tratta lo spamming, più difficilmente si trovano persone che conoscono le disposizioni di legge sull’argomento.

È evidente che chi guarda a questo fenomeno come un fastidio inestirpabile sarà  interessato maggiormente agli aspetti normativi che tutelano i propri diritti, ma chi invece ha la pazienza e il buon senso di informarsi su tutta la disciplina a riguardo potrebbe trovare interessanti spunti per il suo business.

Lo spam secondo la definizione ormai largamente condivisa consiste nella spedizione di una quantità  considerevole di mail o qualsiasi altra forma di comunicazione elettronica (SMS, MMS, fax, e così via).

A conti fatti però lo spam può essere visto come la spedizione di messaggi pubblicitari a un largo numero di caselle di posta elettronica. Questo aspetto oltre ad essere il più diffuso e forse il più interessante per una PMI in termini di risorsa.

Se se si è venuto a configurare questo nuovo fenomeno, così come lo conosciamo oggi, è perché alcune aziende hanno visto nelle comunicazioni via mail una possibilità  per il proprio marketing.

Nulla di male nel sfruttare i mezzi offerti dalle ICT, purché sia legale. Ecco perché conoscere la normativa può aiutare a configurare nel modo migliore la pubblicità  della propria impresa, anche attraverso la posta elettronica.

Negli ultimi anni il Garante della privacy ha ricevuto numerose richieste di risoluzione di dispute dovute allo spam. Un esempio per tutti il provvedimento del 14 Giugno 2007. Nel vietare il trattamento dei dati della parte lesa, l’autorità  ha ribadito che è illegale inviare e-mail per pubblicizzare un prodotto o un servizio senza aver prima ottenuto il consenso del destinatario, necessario prima di effettuare qualunque attività .

Come riferimento normativo in tal caso fa fede l’articolo 130 del D.lgs 196/2003 (Codice in materia di protezione dei dati personali) relativo alle “comunicazioni indesiderate”.

Nel comma 4, infatti, viene esplicitamente detto quanto richiamato nei provvedimenti del Garante e viene aggiunto che l’interessato deve poter in qualsiasi momento, gratuitamente e in maniera agevole potersi opporre all’invio di ulteriori messaggi. Tale possibilità  deve essere evidenziata al momento della raccolta del consenso e in ogni comunicazione. I meccanismi illustrati dal Legislatore prendono comunemente il nome di Opt-in e Opt-out, con chiaro riferimento al loro significato.

È bene citare anche il D.lgs 70/2003 negli articoli 8 e 9, che trattano specificatamente delle comunicazioni commerciali nel contesto del commercio elettronico. Tuttavia le prescrizioni del codice della privacy sul consenso preventivo sono più restrittive. Sembra allora che il D.lgs 196/2003 non lasci scampo a qualsiasi iniziativa libera dell’azienda.

In realtà  questo non è vero.

L’art 130 comma 4 del codice prevede la cosiddetta “eccezione per prodotti e servizi analoghi”, per cui non è necessario il consenso preventivo, qualora già  ottenuto in un primo momento per altre comunicazioni.

Questa postilla, se usata con moderazione e sempre nel rispetto delle altre prescrizioni, potrebbe rappresentare la chiave per fare dello “spam” – sempre che sia lecito usare questo termine, in presenza di effettiva autorizzazione – un mezzo lecito di pubblicità . In termini concreti: è possibile informare i propri clienti o chiunque abbia accettato di ricevere comunicazioni dall’azienda sui prodotti analoghi e quindi anche sulle novità  del catalogo.

Lo spam è illecito se svolto senza consenso ma, seguendo le leggi a riguardo e operando nel rispetto della privacy e della casella mail altrui, può rappresentare una risorsa interessante e non solo un festidio per le PMI.