Dematerializzare è sicuramante una delle caratteristiche della rivoluzione digitale a cui abbiamo assistito o meglio stiamo assistendo. Se da un lato si dovrebbero già vedere i frutti di quello che è stato un provvedimento italiano (art 15 comma 2 legge 59/97) tra i primi europei per favorire l’informatizzazione della documentazione aziendale, si deve fare i conti con una realtà che a stento riesce a assorbire questa mutazione culturale.
La dematerializzazione, per coloro che ancora dovessero esserne all’oscuro, è il processo per cui qualsiasi tipo di documento abbandona il buon vecchio supporto cartaceo per affidarsi al progresso tecnologico dell’era dei bit. Sembra una cosa abbastanza facile da concepire, quasi una naturale conseguenza dell’uso sfrenato dei computer; ma se si pensa di dover ricevere una fattura non più su carta palpabile (e quindi sicura) ma semplicemente come file sul proprio PC, iniziano a vedersi i primi problemi.
È evidente che la prima cosa necessaria è slegare il concetto di documento, cioè di contenuto informativo di un qualsiasi valore, dal concetto di supporto. Infatti per la stragrande maggioranza delle persone l’uno è sinonimo dell’altro. In realtà proprio la rivoluzione in atto sta chiarendo l’abissale differenza. Ecco perché un qualsiasi altro strumento che garantisca certezza, stabilità , autenticità e inalterabilità può essere preso in considerazione come custode di informazioni.
Non è così facile poter dimostrare queste caratteristiche in una tecnologia emergente che deve far i conti da un lato con le crescenti necessità del business e dall’altro con il cyber crime. È noto che un documento digitale può essere facilmente alterato, modificato, copiato, falsificato senza che nessuno possa accorgersene.
Questo costituisce un grosso limite per la sua utilizzazione sotto il profilo giuridico, ovvero in tutti quei casi dove è necessario utilizzare la tecnologia per garantire l’applicazione e il rispetto della legge: un grosso limite, certo, ma per fortuna non invalicabile.
Diversi sono stati gli sforzi negli ultimi anni per garantire meccanismi che incorporassero la legge ovvero che permettessero in modo inequivocabile il rispetto delle prescrizioni di legge. L’altro lato della medaglia però mostra una normativa che solo di recente nel D.lgs 92/2005, noto come Codice dell’amministrazione digitale, ha visto una chiara configurazione e un adeguamento alla situazione vigente e prospettabile per gli anni a venire.
Firme elettroniche e digitali, marche temporali, posta elettronica certificata, registri informatici, sono tutti termini ormai di uso abbastanza comune nati ufficialmente grazie a questo decreto che tutt’ora resta un valido punto di riferimento. Molte aziende (un esempio per tutte Infocert) offrono servizi di informatizzazione del sistema documentale aziendale prospettando soluzioni adeguate per ogni esigenza e in conformità alle normative vigenti.
Per una PMI probabilmente tutto questo non può far altro che convincere della maturità dei tempi ma certo non può dar ragione di una convenienza economica. Da questo punto di vista l’analisi è ancora più semplice.
Stando a diverse fonti, tra cui il 1° Forum sulla Dematerializzazione, le pagine stampate per qualsiasi documento aziendale in un anno sono talmente tante che quand’anche il costo di ogni pagina fosse di pochi centesimi di euro, il risparmio annuo sorpasserebbe di milioni di euro. A ciò si deve aggiungere i costi di invio, archiviazione, ricezione e altri costi di carattere logistico connessi all’uso di documenti cartacei.
Digitalizzare rappresenta uno di quei passaggi obbligatori per rimanere a galla e rendersi competitivi in un mondo dove innovazione è la parola d’ordine ma, allo stesso tempo, è anche una grande fonte di risparmio delle spese aziendali di gestione.