Rinunciando al ricorso alla Corte di Giustizia in merito alla condanna subita nel 2004 per abuso di posizione dominante (Articolo 82 del Trattato CE) sul mercato dei software e dell’IT, Microsoft ne ha accettato la conferma, giunta in questi giorni dalla seconda alta corte europea.
E ha dovuto chinare la testa:: il numero uno dell’informatica metterà in atto le misure imposte dalla UE a favore della libera concorrenza.
Vittoria dell’Antitrust ma anche dell’interoperabilità , quindi, per l’intero mercato dei sistemi operativi desktop e dei server.
Non solo: gli esiti della vicenda legislativa hanno segnato un importante precedente legale, che apre ai competitor, ridona linfa ad un settore considerato quasi blindato da storici colossi come Microsoft o Intel e stabilisce norme più chiare e sostenibili per tutti gli operatori (fornitori di software e hardware IT e TLC, ecc.).
D’altro canto, la clausola del libero accesso alle informazioni per l’interoperabilità fra prodotti è una prassi comune nel settore software. Con la conferma della sentenza si stabilisce un assunto formalmente riconosciuto, pur rimanendo tutelati i diritti di proprietà intellettuale.
Cosa significa questo per il mercato IT? Innanzitutto, che d’ora in poi gli sviluppatori open source potranno accedere in maniera più semplice e meno onerosa ai codici dei software Microsoft.
Risultato? Più innovazione e competizione, più soluzioni alternative disponibili per gli utenti, maggiore integrazione fra software, applicativi, device e prodotti IT.
Questo andrà soprattutto a beneficio degli ambienti business, dove è maggiore la necessità di poter disporre di piattaforme complete ed efficienti, ma non necessariamente proprietarie.
Gli obblighi per la casa di Redmond sono essenzialmente tre: i primi due riguardano l’accordo di licenza “No patent agreement”, che consente ai titolari di accedere alle specifiche sulla interoperatibilità fra prodotti anche senza brevetto, a fronte di royalties una tantum ridotte a 10 mila euro. La terza stabilisce che i diritti legati agli accordi “Patent Agreement” – licenza mondiale che include il brevetto – scendano dal 5,95% allo 0,4%.
La sentenza potrebbe essere davvero l’esito finale di una guerra legale durata oltre 10 anni, da quando il dipartimento della Giustizia Usa citò per la prima volta in giudizio Microsoft per violazione della libera concorrenza.
L’obbligo di rendere noti alle società rivali i requisiti per interfacciarsi con Windows e la grande famiglia di prodotti Microsoft, non vuol dire espropriarla dei suoi diritti di proprietà intellettuale, che rimangono comunque garantiti, mentre invece viene ribadito il vincolo ad attenersi alle regole europee sulla concorrenza.
La decisione dell’Alta Corte europea è stata quindi salutata da aziende ed utenti con un certo entusiasmo e con un innegabile ottimismo per le implicazioni future sullo sviluppo dell’Open Source (basato sulla esplicita libertà di copia, modifica e redistribuzione dei programmi, con ricavi derivanti unicamente dai servizi offerti attraverso i software stessi), che sta segnando una serie di punti a suo favore, in grado di assegnargli finalmente quello spazio e quel riconoscimento normativo – oltre che tecnico e commerciale – che innegabilmente gli compete.