La crisi delle economie forti e la competitività dei mercati a basso costo. Sono queste le maggiori preoccupazioni dei Top Manager italiani rispetto ai colleghi internazionali secondo la 12esima edizione della Global Ceo Survey di PricewaterhouseCoopers. In generale, com’era prevedibile, c’e’ un crollo della fiducia (ai minimi dal 2003) nell’intero pianeta, con il 21% dei dirigenti che vede una ripresa lenta, ma colpisce il fatto che nella Penisola, pur essendo sotto certi aspetti la crisi meno pesante che in altri paesi occidentali, i manager siano più negativi che altrove.
Se a livello mondiale la percentuale dei CEO che prevede una crescita dei ricavi nei prossimi 12 mesi è scesa al 21% rispetto al 50% del 2008, in Italia il dato è calato all’8% dal precedente 19%. E per quanto riguarda il prossimo triennio, solo il 34% ha fiducia nella ripresa, rispetto al 42% dello scorso anno, quando c’erano già i primi segnali della crisi globale. Questa la “mappa” delle previsioni: in Nord America e in Europa il 15% dei top manager ha espresso ottimismo sulle prospettive di crescita nei dodici mesi, mentre nelle economie emergenti dell’Europa centro orientale e dell’America Latina, le visioni positive salgono al 21% e nell’area Asia-Pacifico arrivano addirittura al 31%.
«Anche in economie un tempo in forte crescita, oggi le aziende devono fare i conti con problematiche come mancanza di credito, stagnazione dei mercati dei capitali e crollo della domanda», segnala Samuel A. DiPiazza, Global Ceo di Pwc, secondo cui i «Ceo stanno cercando il punto di equilibrio fra le difficoltà di una adeguata gestione della crisi e l’essere preparati a un’inversione di tendenza dell’economia».
Fatto sta che il pessimismo è concentrato nel Vecchio Continente e in America del Nord, e l’Italia vede particolarmente nero. I numeri uno italiani sono meno fiduciosi sulle prospettive di crescita del proprio settore (il 5% contro il 20% a livello globale), sono più orientati a vedere opportunità di crescita per il loro business in nuovi mercati geografici e meno a migliorare la penetrazione in quelli già esistenti. Preferiscono rivolgersi al private equity e al venture capital per reperire fondi per la crescita. Ci sono delle preoccupazioni che invece da noi sono meno pressanti, come la mancanza di risorse naturali, l’inflazione, la sovraregolamentazione, la disponibilità di competenze chiave, le infrastrutture di base. Le due grandi incognite sono invece la crisi e la concorrenza dei mercati a basso costo.
Dall’inchiesta emerge che i manager della Penisola non si pongono il problema della sottrazione di personale da parte dei competitor e quello della conoscenza e previsione della disponibilità di talenti nei paesi emergenti. Secondo la ricerca, con ogni probabilità adotteranno le seguenti strategie: riallocazione delle risorse chiave in azienda, creazione di un ambiente di lavoro più flessibile, collaborazione con le università. I manager italiani sono convinti che i governi diventeranno piu’ protezionisti e che, insieme alle aziende, troveranno solzuioni per ridurre l’impatto dei rischi legati a cambiamenti climatici, terrorismo e crisi finanziaria.