Nella classifica delle aziende familiari più antiche del mondo della rivista americana Family Business Magazine ci sono sei italiane fra le prime dieci, e 14 nella top 100. E ancora: nel club mondiale degli Henokiens, che raccoglie imprese controllate dalla stessa famiglia da almeno 200 anni, su 40 membri 14 sono italiani.
«E molte altre aziende familiari italiane, anche al di fuori delle classifiche, possono raccontare vite centenarie», sottolinea Daniela Montemerlo, docente dell’area strategia e imprenditorialità della Sda Bocconi. Si tratta, insomma, di un vero patrimonio del tessuto economico della Penisola, che da una parte rappresenta un modello evidentemente di successo, dall’altra ha il problema di affrontare le sfide per la continuità nel mercato del terzo millennio. Per esempio, spiega Montemerlo, «sono sempre maggiori le spinte alla crescita anche nei settori tradizionali, e crescita e natura familiare dell’azienda non sono un binomio scontato. Non a caso sono scarsissime le sovrapposizioni tra la classifica delle aziende familiari più antiche e quella delle aziende familiari più grandi». E infatti, in questa seconda graduatoria, fra le prime 100 il made in Italy è rappresentato da un’unica sigla, la Fiat, all’undicesimo posto.
«Un motivo di pessimismo per chi oggi ha l’ambizione di durare nel tempo?», si domanda l’esperta. No, anzi «uno stimolo» ad avere «una visione lungimirante, ricercando i migliori talenti familiari e non familiari (manager, partner strategici e finanziari) per costruire insieme formule imprenditoriali eccellenti e un modello di impresa familiare adeguato ai tempi». Sposare tradizione e modernità non è facile, secondo quanto scrive Leah Kristie sul Family Business Magazine le ricerche stimano che meno di un terzo del totale delle imprese familiari del pianeta non arriva alla seconda generazione. La numero uno in classifica, la giapponese Houshi Onsen, settore alberghiero, è alla quarantaseieseima generazione. È un albergo nella località termale di Awazu Onsen, nella regione giapponese Hokuriku, fondato nel 718, ovvero più di 1300 anni fa.
Le sei italiane che compaiono fra le prime dieci rappresentano un affascinante viaggio in settori chiave del made in Italy. La Pontificia Fonderia Marinelli, fondata nell’anno 1000 ad Agnone, oggi ha una ventina di dipendenti, utilizza «le stesse tecniche ed i materiali dei maestri del Medioevo e del Rinascimento», esporta campane a New York, Pechino, Gerusalemme, America del Sud. In classifica, condivide il secondo posto con una storica cantina di Francia, lo Château de Goulaine, splendido castello sulla Loira che appartiene alla stessa famiglia da oltre mille anni e ospita, fra l’altro una nota collezione di farfalle.
Ma basta scendere di un posto per trovare la risposta del made in Italy, che arriva da Siena con la Barone Ricasoli, produttore di olio e vino (fra l’altro, nella top 100 ci sono ben 19 aziende che fanno vino, birra o liquori, da nove diversi paesi del mondo). Si prosegue con Barovier & Toso, vetrai in Murano dal 1295, quinto posto, Torrini Firenze, opificio dal 1369, e poi ancora la capitale toscana con i vini di Marchesi Antinori, dal 1385, per terminare con il numero dieci, Camuffo. L’azienda di Portogruaro è il più antico cantiere navale del pianeta, costruisce barche dal 1438, ha avuto nella storia clienti come la Maometto II, sultano ottomano conquistatore di Costantinopoli, e Napoleone, e ancora oggi realizza prodotti che vengono definiti “Stradivari del mare”.