Il contratto di lavoro subordinato può essere concluso sia oralmente che per iscritto e, naturalmente, l’assunzione o la nomina del dirigente non fa eccezione a questa regola. L’instaurazione del rapporto, comunque, pur potendo, in linea teorica, essere definita verbalmente, avviene generalmente per iscritto, in linea con le previsioni della principale contrattazione collettiva nazionale. In alcuni casi ed in relazione a determinate informazioni che il datore deve fornire al lavoratore, è la stessa legge a prevedere una forma scritta obbligatoria (si veda, ad esempio, il D.Lgs. 152/1997). Solitamente, nella stessa lettera di assunzione (che deve essere debitamente sottoscritta dal lavoratore) vengono indicate tutte quelle informazioni per cui la legge prevede una forma scritta e che permettono di poter inquadrare correttamente il rapporto.
A norma dell’art. 2096 c.c. può essere previsto un periodo di prova per il lavoratore che, dunque, rappresenta un elemento accidentale del contratto. Il patto, che può essere anteriore o quanto meno contestuale all’inizio del rapporto, ha la precipua funzione di mettere nelle condizioni il datore (ma anche il lavoratore) di effettuare una valutazione circa la convenienza di stabilizzare in via definitiva gli interessi contrattuali delle parti; è prevista la forma scritta obbligatoria. Generalmente, si ricorre a tale istituto solo per i dirigenti di nuova assunzione con esclusione, quindi, delle ipotesi di promozione dei lavoratori già occupati presso la medesima azienda.
Durante tale periodo, le parti possono recedere dal contratto senza obbligo di preavviso o d’indennità, a meno che la prova non sia prevista per una durata di tempo necessario. In questo caso, la facoltà di recesso può esercitarsi solo dopo la scadenza del termine, a pena di risarcimento danni. Le parti potrebbero anche definire uno schema contrattuale diretto a rimuovere eventuali dubbi circa i diritti delle parti; ad esempio, potrebbero stabilire, pattiziamente, soltanto per il datore la possibilità di recesso, dietro corresponsione al dirigente di una penale.
In ogni caso, il fatto che sia previsto un recesso ad nutum non esclude, secondo recente giurisprudenza, che il lavoratore possa impugnare il recesso adducendo l’illegittimità dei motivi o il positivo superamento del periodo di prova. In caso di assolvimento dell’onere probatorio, il lavoratore, comunque, non avrà diritto alla reintegrazione prevista dall’art. 18 St. Lavoratori (soprattutto se trattasi di dirigente apicale); avrà diritto, invece, al risarcimento del danno ex art. 1218 c.c., riferito alla retribuzione che il lavoratore avrebbe dovuto percepire nel periodo di prova.
In ogni modo, il dirigente che receda o che sia licenziato prima del termine previsto per il periodo di prova, ha diritto a percepire la retribuzione per il periodo di lavoro prestato, l’indennità sostitutiva per le ferie maturate e non godute ed il trattamento di fine rapporto, restando esclusa l’indennità sostitutiva del preavviso che è incompatibile con la struttura del patto di prova.
Il patto deve contenere, a pena di nullità, l’indicazione delle mansioni a cui sarà adibito il lavoratore rinviando, eventualmente, al contratto collettivo di riferimento per tutte le ulteriori e necessarie specificazioni. Alla scadenza del periodo di prova (la cui durata massima viene indicata dal contratto individuale o dal contratto collettivo di riferimento), in caso di esito positivo, l’assunzione diviene definitiva ed il periodo di prova già prestato deve essere computato nell’anzianità di servizio.
Carmine Perruolo presso Studio Legale Uricchio/Perruolo. www.zonalegale.it.