Al via il G20 di Pittsburgh tra speranze e aspettative

di Emanuele Menietti

24 Settembre 2009 15:00

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Saranno numerosi i temi affrontati dai paesi che rappresentano il 90% del PIL mondiale accorsi a Pittsburgh per il summit del G20. I partecipanti dovranno trovare nuove risposte contro la crisi ed elaborare nuove regole per bilanciare l'economia

Riusciranno i grandi della Terra a trovare un patto solido come l’acciaio, proprio come quello prodotto negli anni d’oro a Pittsburgh, per rilanciare l’economia e assicurare un nuovo periodo di crescita? A poche ore dall’inizio dell’ìmportante incontro del G20 la domanda serpeggia tra le varie delegazioni giunte negli Stati Uniti per affrontare i principali temi legati alla crisi. Il summit non produrrà alcuna decisione vincolante, ma potrebbe fornire i giusti strumenti per coordinare le politiche economiche dei principali paesi del pianeta.

Tale intenzione è stata manifestata con forza alcuni giorni fa da Barack Obama, impegnato in prima persona nell’organizzazione dell’importante vertice e determinato a ottenere impegni chiari e coerenti con le politiche di rilancio. Il primo responsabile della Casa Bianca mira, inoltre, a una sensibile revisione delle attuali regole del sistema economico e finanziario. Secondo il presidente USA, la mancanza di nuove norme potrebbe portare a una ripresa “selvaggia” basata sulle storture che già causarono la crisi oltre un anno fa. Il sistema andrebbe dunque ripensato alla radice per assicurare lo sviluppo di una economia maggiormente bilanciata.

Un obiettivo ambizioso, sul quale sarà probabilmente difficile trovare un’intesa in grado di soddisfare tutti i partecipanti. È sufficiente scorrere l’elenco dei paesi del G20 per rendersi conto di quanto differenti possano essere le istanze di ogni singola nazione: Argentina, Australia, Brasile, Canada, Cina, Francia, Germania, India, Indonesia, Italia, Giappone, Messico, Russia, Arabia Saudita, Sud Africa, Corea del Sud, Turchia, Regno Unito (Spagna) e Stati Uniti, i padroni di casa. Nel corso dei precedenti summit del 2009, numerosi paesi hanno formato intese e alleanze per far valere maggiormente le loro posizioni e dar forza alle loro proposte.

Numerosi paesi asiatici, per esempio, hanno dimostrato una buona dose di scetticismo nei confronti di un maggiore irrigidimento dei mercati attraverso l’introduzione di nuove regole. Sul fronte europeo, invece, Gran Bretagna, Francia e Germania si sono mostrate unite nel chiedere una revisione di alcune storture soprattuto nel comparto finanziario. I premier Sarkozy, Brown e Merkel hanno recentemente indirizzato una lettera aperta congiunta ai membri del G20 per richiedere l’introduzione di tetti salariarli e regole precise sui bonus per i banchieri e un maggiore impegno sul fronte della lotta ai paradisi fiscali. Proposte ben viste dall’amministrazione Obama, determinata comunque a lasciare un buon grado di autonomia nelle politiche aziendali legate ai bonus.

Alcuni incontri dei paesi che rappresentano il 90% del PIL mondiale saranno poi dedicati alle delicate questioni legate all’export e al mercato globale. Un tema particolarmente sentito dalla Cina, che si è strenuamente battuta contro la recente decisione degli Stati Uniti di aumentare i dazi doganali per alcune categorie merceologiche provenienti dal paese asiatico. Spetterà probabilmente a Barack Obama il compito di ricucire i rapporti con Pechino e sventare così la possibilità di una escalation nell’istituzione dei dazi, una eventualità paventata a più riprese dal Fondo Monetario Internazionale.

L’impronta degli Stati Uniti non si farà solamente sentire nell’organizzazione del G20, ma anche nelle concrete proposte per amministrare i prossimi mesi di crisi economica. Washington ha in mente un piano di massima per il nuovo assetto dell’economia su scala mondiale, suddiviso in tre principali aree geografiche. L’amministrazione Obama propone: per gli Stati Uniti, un forte impegno ad aumentare la propensione al risparmio dei propri cittadini e una maggiore attenzione al bilancio pubblico per ridurre il deficit; per la Cina, l’adozione di una politica tesa a dipendere meno dall’export e a rilanciare i consumi interni in un’ottica maggiormente aperta; per l’Europa, l’impegno a dar vita a una serie di riforme strutturali per il mercato del lavoro tese ad attirare nuovi investimenti. Un nuovo corso per l’economia che, secondo gli Stati Uniti, potrebbe garantire una nuova fase di stabilità nel medio periodo, utile per uscire dalla crisi con sistemi economici rinforzati.

Infine, i paesi del G20 riuniti a Pittsburgh dovranno affrontare il delicato tema delle exit strategy degli aiuti di stato e lo scottante problema della disoccupazione. Tra i membri del summit permane la consapevolezza che le strategie di uscita dovranno essere progressive e coordinate a livello internazionale, così da consentire all’economia di poter tornare a sorreggersi con le proprie gambe. Tali provvedimenti dovranno tenere inoltre conto dei tassi di disoccupazione ancora molto alti, specialmente negli Stati Uniti e in alcune aree del Vecchio Continente.

Secondo numerosi analisti, il G20 statunitense potrà aggiungere un altro importante tassello nell’impianto finora adottato per affrontare la crisi. Anche se con declinazioni diverse, i paesi partecipanti concordano tutti su un punto fondamentale: per una crisi globale, occorrono strumenti e soluzioni di tipo globale.