Dirigenti, pseudodirigenti, impiegati direttivi

di Carmine Perruolo

1 Ottobre 2009 07:30

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Analisi dei tratti caratteristici delle categorie di lavoratori subordinati che pur svolgendo mansioni di alto livello non possono essere inquadrati nell'ambito della categoria dirigenziale

Lo pseudodirigente, o dirigente per convenzione, è quel lavoratore a cui viene attribuita una qualifica superiore rispetto a quella che risulterebbe applicabile facendo riferimento all’effettività delle mansioni svolte. La qualifica dirigenziale, ad esempio, potrebbe essere riconosciuta ad un dipendente di alto livello vicino all’età pensionabile solo come riconoscimento alla carriera; da ciò consegue che il trattamento retributivo potrebbe anche essere lasciato inalterato nel suo ammontare.

L’attribuzione del grado di dirigente potrebbe, però, nascondere anche degli scopi illegittimi. Un esempio è dato dal datore che volesse aggirare le disposizioni della normativa limitativa dei licenziamenti che risulta non applicabile nei confronti della categoria dirigenziale.

Sul punto è dovuta intervenire la Corte che, in alcune sue  sentenze, delineando la netta contrapposizione tra dirigenza e pseudodirigenza, ha sancito che le garanzie dell’art. 7 St. Lavoratori non si applicano solo al c.d. dirigente di vertice o apicale. Naturalmente il lavoratore leso potrà sempre ricorrere al giudice al fine di ottenere il giusto riconoscimento dei suoi diritti, dimostrando la non corrispondenza tra le mansioni svolte e l’attribuzione della qualifica.

La figura del dirigente è stata anche contrapposta a quella dell’impiegato direttivo; figura che ha creato non poche incertezze definitorie. Sul punto la Cassazione, con la sentenza del 10 agosto 1999 n. 8572, ha specificato che «il tratto caratteristico della figura del dirigente d’azienda, rispetto ad altre figure simili, come quella dell’impiegato con funzioni direttive, è costituito dall’autonomia, e dalla discrezionalità delle scelte decisionali tali da influire sulla conduzione dell’intera azienda o di un suo ramo autonomo, e non circoscritta, come nel caso dell’impiegato con funzioni direttive, ad un settore , o ramo, o ufficio, o servizio della stessa».

In pratica, si può affermare che, mentre nel caso del dirigente vi è un’espressa attribuzione di poteri propri dell’imprenditore per l’esercizio dell’attività imprenditoriale considerata nel suo insieme o per un ramo della stessa, nel caso dell’impiegato direttivo il riconoscimento di determinate prerogative si riconnette ad esigenze strettamente organizzative e di servizio di circoscritti ambiti dell’azienda.

Infine, appare opportuno un ultimo cenno alla categoria dei quadri, introdotta con la legge 190/1985. L’art. 1 di tale legge sancisce che i quadri sono quei lavoratori che «pur non appartenendo alla categoria dei dirigenti, svolgono funzioni con carattere continuativo di rilevante importanza ai fini dello sviluppo e dell’attuazione degli obiettivi»; i requisiti di appartenenza «sono stabiliti dalla contrattazione collettiva nazionale o aziendale in relazione a ciascun ramo di produzione e alla particolare struttura organizzativa dell’impresa».

Le caratteristiche peculiari della figura dirigenziale sono, come indicato, un’ampia discrezionalità decisionale ed una sostanziale mancanza di dipendenza gerarchica; i quadri, invece, per espressa definizione legale non rientrano nella categoria dei dirigenti e, quindi, vi dovrebbe essere la mancanza di tali indici rivelatori.

Se non che, la totale mancanza di tali prerogative equiparerebbe la categoria a quella degli impiegati direttivi. Sulla questione è dovuta intervenire ancora la Suprema Corte, con la sentenza del 28 dicembre 1998 n. 12860, definendo la categoria dei quadri come intermedia fra quella dei dirigenti e quella degli impiegati direttivi; la Corte ha evidenziato, inoltre, che deve essere la stessa legge a fornire i criteri direttivi a cui deve attenersi la contrattazione, la cui violazione determina la nullità delle disposizioni in contrasto.