Tutte le prestazioni di lavoro concorrono nel loro insieme al raggiungimento di quello che può essere definito l’esito complessivo del processo economico produttivo. Nessuna di esse, tuttavia, può determinare le sorti di tale processo, in quanto tutte sono assoggettate al potere direttivo datoriale che può orientarle, indirizzarle e modificarle; tale discorso, però, non può essere sostenuto anche nei confronti dell’attività dirigenziale.
Infatti, il potere direttivo consiste nella possibilità di incidere sull’andamento della via aziendale e la figura dirigenziale può, attraverso l‘esplicazione della sua attività, influenzare allo stesso modo la vita dell’impresa o di un ramo di essa. Sia la dottrina che la giurisprudenza, infatti, sono concordi nel ritenere che nei confronti del dirigente, il datore esplichi solo un potere “attenuato” di direzione, limitandosi solamente ad indicare gli indirizzi generali o le direttive di massima da seguire.
Ciò, di certo, non fa venire meno il potere del datore che non fa altro che esplicarsi in modo diverso, senza che ne venga snaturato il contenuto. Con il contratto il dirigente assume il potere, ma anche l’obbligo, di organizzare il lavoro altrui attraverso la combinazione dei fattori produttivi. La prestazione dirigenziale si esplica, appunto, attraverso il potere di prendere decisioni senza alcuna ingerenza da parte del datore ed attraverso la realizzazione di un’attività esaustiva, completa, capace di raggiungere i fini ultimi dell’impresa o del ramo autonomo diretto.
Ciò nonostante, non si deve ritenere che il raggiungimento di determinati risultati sia dedotto in una specifica obbligazione, perché se il potere di influenzare l’andamento aziendale è elemento connaturato al rapporto di lavoro dirigenziale, vi sono comunque dei fattori che sfuggono alla sfera d’azione del dirigente, sebbene l’attività prestata sia condotta con professionalità e diligenza.
Non vi è, inoltre, nessun elemento di natura giuridica su cui far poggiare tali tesi, altrimenti sarebbe addirittura configurabile, in caso di mancato raggiungimento del risultato, una ipotesi di responsabilità del dirigente per inadempimento; circostanza che potrebbe far gravare su quest’ultimo anche un obbligo di risarcimento dei danni. Soluzione evidentemente troppo gravosa.
In caso di risultati negativi, piuttosto, vi potrebbe essere una valutazione avente ad oggetto le qualità personali del dirigente ed, eventualmente, l’opportunità di una prosecuzione del rapporto (si evidenzia che il rapporto di lavoro dirigenziale è assoggettato al regime della libera recedibilità).
In ogni caso, nell’attuale sistema normativo, spesso è la stessa legge ad attribuire responsabilità di tipo civile, ma anche penale, ai dirigenti, in relazione alla rilevanza sociale e collettiva degli interessi tutelati dalle stesse normative.
D’altronde, il dirigente che, a causa dell’ attività esplicata, sia esposto a determinate responsabilità, anche se nulla prevede la contrattazione collettiva, è legittimato a richiedere contrattualmente, successivamente o contestualmente all’assunzione, una copertura assicurativa a carico dell’azienda; copertura assicurativa che può essere richiesta anche per il periodo successivo alla cessazione del rapporto per fatti accaduti in costanza dello stesso.
L’oggetto di tale richiesta può riguardare le spese giudiziali, l’onere del risarcimento del danno nei confronti del danneggiato che si costituisca parte civile, l’onere per la responsabilità civile verso terzi, eccezion fatta per le ipotesi di dolo o colpa grave, ecc. (es. CCNL Area Diregenza Ruoli Sanitari).