Essere entrati nel terzo millennio dovrebbe voler anche dire avere ormai acquisito la consapevolezza dell’equivalente valore delle capacità e delle competenze di uomini e donne. Però, se si mettono a confronto i dati di fatto delle carriere a livello dirigenziale, sembra quasi di fare un salto nel passato di un centinaio di anni, visto che le donne, oltre ad avere una sparuta rappresentanza tra i vertici aziendali, continuano a essere penalizzate, meno pagate e meno occupate.
Rispetto ai colleghi maschi partono da posizioni iniziali inferiori, anche a parità di titolo di studio. E questa tendenza sembra rimanere stabile nel tempo, nonostante percorrano i medesimi iter professionali dei colleghi uomini. Inoltre, le donne manager sembrano essere più immobili rispetto ai colleghi maschi.
Una ricerca commissionata da Manageritalia (Federazione nazionale dirigenti, quadri e professional del commercio, trasporti, turismo, servizi, terziario avanzato) all’Università di Milano Bicocca, e avente come tema le posizioni assunte in azienda, evidenzia rilevanti contrasti. Dati alla mano, il ruolo di presidente di un’azienda vede un rapporto uomo-donna 1,3 per gli uomini contro lo 0,5 delle donne, si passa a 11,3 contro 8,4 nel caso dell’amministratore delegato e si arriva a 17,9 uomini contro 9,3 donne per chi occupa la posizione di direttore generale.
Un panorama molto simile è quello delineato da Cerved, che vanta la più vasta raccolta di informazioni sulle imprese italiane e che però sottolinea come le società con alla guida le donne mostrino la tendenza a incrementare i ricavi a un ritmo medio annuo superiore rispetto a quelle in cui i ruoli più rilevanti del management sono occupati da uomini.
Ma non solo. Cerved evidenzia anche che le aziende che hanno un amministratore delegato donna mostrano una maggiore propensione a generare profitti. Questa asserzione giunge a fronte del fatto che, in media, ogni 100 euro di fatturato, le società “femminili” hanno 6,9 euro di margini operativi lordi, contro i 6,5 euro delle imprese guidate da maschi.
Cerved fa notare anche che le imprese con alla guida una donna hanno mostrato maggiore facilità a chiudere l’esercizio in utile. Dalle rilevazioni è infatti emerso che nel caso di realtà con ricavi oltre i 200 milioni di euro le aziende femminili sono state l’8,8% contro l’8,6% di quelle maschili, il 7,7% contro il 6,5% se il fatturato era compreso tra i 50 e 200 milioni di euro e del 3,6% contro il 2,7% in quelle con ricavi tra 10 e 50 milioni di euro.
Se però si effettua un confronto sul piano delle retribuzioni, le donne guadagnano in media decisamente meno degli uomini: è infatti maggiore del 20% il divario di stipendio annuo lordo a favore degli uomini. Lo rileva una ricerca di NorthgateArinso, società di consulenza specializzata in risorse umane, che ha intervistato 487.288 donne di 82 imprese italiane. Il dato assoluto fornito ha però un valore limitato, in quanto non considera il livello di inquadramento in azienda, l’anzianità, gli incarichi e le responsabilità assunte.
Tuttavia dalla considerazione di tutte le variabili considerate nell’indagine, emerge che, per i ruoli che vanno dalla fascia alta del middle management fino ai top executive, la differenza di retribuzione tra uomo e donna non arriva al 2%. La discriminante principale nell’analizzare le differenze non è dunque lo stipendio, quanto la maggiore difficoltà di una donna a raggiungere posizioni manageriali di alta responsabilità.