La nuova seducente parola d’ordine del management internazionale è narrazione. Per i sostenitori di questo indirizzo raccontare storie, o storytelling, si presenta come l’attività di un modello manageriale più aderente alla rappresentazione e alla costruzione della realtà dell’impresa che emerge dalla fase “liquida” e fortemente critica, propria dei processi storici attuali.
L’approccio narrativo appare l’imperativo di un’epoca contraddistinta da mutevolezza, incertezza e complessità in cui le aziende si trovano ad operare. In quanto criterio regolativo, lo storytelling definisce al tempo stesso uno strumento di indagine dell’universo corporate (Barbara Czarniawska) e un precetto dell’agire manageriale.
Da una parte le aziende sono osservate attraverso la lente di un moderno «paradigma interpretativo» dove si mostrano come «sistemi viventi e fluenti, nei quali poter parlare, pensare, sognare, sentirsi essere umani» (Stephen Denning), dall’altra il racconto diviene un metodo che assicura la sua efficacia «per una diversa ed innovativa comprensione, direzione e gestione delle aziende» (Silvio Coraglia, Giovanni Garena).
Questa visione – secondo alcuni una svolta di grande e durevole impatto – è stata concepita e sviluppata oltre oceano a metà degli anni Novanta del secolo scorso.
Nella ricostruzione storica fornita da Christian Salmon si deve all’australiano Stephen Denning, incaricato in quel periodo presso la Banca Mondiale, l’invenzione dello storytelling management. Ben presto questa tendenza ha conquistato aziende del calibro di Coca Cola, IBM, Adobe, Microsoft, Disney, convertendo i manager e riempiendo le pagine di autorevoli riviste come Harvard Business Review ed Economist.
Negli Stati Uniti la moda dello storytelling dilaga e fa proseliti. Al tema si dedicano eventi, festival, libri, saggi, seminari, articoli di giornale, workshop.
Oltre a Denning, autore di testi come “The Springboard” o “The Leader’s Guide to Storytelling”, i suoi principali maître à penser si chiamano Yannis Gabriel, David M. Boje, Larry Prusak. In Italia uno dei più importanti studiosi e divulgatori della materia è Andrea Fontana, docente all’Università di Pavia.
Ai suoi occhi la narrazione d’impresa costituisce una disciplina che permette di mettere a fuoco le strategie per riprogettare brand, prodotto, identità e habitus mentale aziendale.
Lo storytelling assume il valore di una tecnica adoperabile ed affidabile nel tempo di mercato in cui non è più sufficiente soltanto creatività produttiva e management preparato «ma anche e soprattutto una autobiografia aziendale progettata, focalizzata e raccontata cross-mediaticamente».
L’azienda, i suoi beni, la sua attività, le sue risorse umane diventano in quest’ottica la trama di un racconto o fiction che aspira a coinvolgere e rendere partecipi gli intelocutori, interni ed esterni, attivando le corde più emotive, sulla falsariga di un “capitalismo delle passioni”.
Attuato in una certa prospettiva questo sistema comunicativo, secondo Gabriele Qualizza, può costituire la base di una nuova costruttiva alleanza tra produttori e consumatori in grado di stare nella competizione attraverso modelli di impresa (vedi Wikipedia) nei quali gli stakeholders si trasformano in attori decisivi, co-creatori di valore e «parte attiva nella programmazione e nella definizione delle scelte strategiche».