L’innovazione guidata dal design

di Barbara Weisz

10 Marzo 2010 14:00

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Il successo delle aziende che interpretano in modo innovativo e creativo le tendenze del mercato lanciando nuovi prodotti e servizi grazie alla "design driven innovation". Un libro di Roberto Verganti

“Mercato? Quale mercato? Noi non guardiamo ai bisogni del mercato. Noi facciamo proposte alle persone”. Così Ernesto Gismondi, presidente di Artemide, rispondeva a un illustre docente americano che gli chiedeva che tipo di analisi facessero per trovare idee tanto innovative.

L’aneddoto è raccontato da Roberto Verganti, docente del Politecnico di Milano nonchè esperto di innovazione, nel suo “Design driven innovation” ritenuto uno dei migliori libri del 2009 da Newsweek. Un testo sulle nuove tendenze del design? Assolutamente no, spiega lo stesso autore: “questo è un libro di management”.

Non parla di stile, di creatività o dei trend del mercato. «Parla – scrive Verganti – di come sia possibile creare e gestire innovazioni inaspettate, ma destinate inevitabilmente a farsi amare dai clienti». E «mostra come gli executive possono realizzare una strategia di innovazione che generi prodotti o servizi dal significato radicalmente nuovo». Come hanno fatto, per esempio, Nintendo con la Wii, o Apple con l’iPod.

La strategia che sta alla base di aziende di questo tipo si chiama, appunto, design driven innovation, dove il termine design è utilizzato per definire la ricerca e lo sviluppo di significati. Dunque, un’innovazione non basata solo sull’implementazione tecnologica o sull’osservazione del mercato.

Negli anni ’80, ricorda Verganti,  produttori come Seiko e Casio aggiungevano nuovi funzioni ai prodotti rendendo i propri orologi sempre piu’ avanzati, cercando così di andare incontro alla domanda dei consumatori. Poi è arrivato lo Swatch, che ha dato all’orologio nuovi significati, rendendolo un oggetto semplice, trendy e colorato. Tutto questo potrebbe sembrare il frutto di un’intuizione difficilmente ripetibile, oppure il risultato di un meticoloso lavoro di un’azienda che seleziona e acquisisce raffinate idee dall’esterno. Invece no, spiega l’autore, si tratta di un tipo di strategia che valorizza risorse interne all’impresa attraverso un metodo di lavoro.

Ci vogliono manager che «sono persone prima di essere manager», designer che «sono persone prima di essere desinger» e ricercatori che «sono persone prima di essere ricercatori». Frasi fatte? No, spiega sempre Verganti. Il problema è che in genere i manager «sono attratti dagli schemi», da «approcci codificati» che però hanno lo svantaggio di essere facili da copiare, quindi da riprodurre da parte della concorrenza.

Invece il manager “innovativo” ha due caratteristiche di fondo: la cultura, vissuta come parte integrante della vita di tutti i giorni oltre che del business, e una «inconsapevolezza dei fondamentali delle teorie manageriali». Quindi hanno per esempio una formazione umanistica più che un master in business administration. E dirigono aziende in cui il processo di innovazione «è tacito, invisibile, non ci sono né metodi, né strumenti, né fasi» ma «una rete di interazioni non codificate fra i vari agenti dell’innovazione, direttamente gestire dai top executive».

In parole semplici si potrebbe dire che c’è la capacità di gestire il capitale relazionale. Il libro si divide in tre parti, descrivendo prima le strategie, quindi i processi e infine il modo in cui si costruisce la capacità innovativa. Il tutto basandosi sulle esperienza fatte in dieci anni di studi in una serie di aziende, come quelle già citate o ancora Whole Food Market, Alessi, Kartell, B&B Italia, che hanno abbinato la creatività propria del design non solo all’estetica ma anche all’innovazione.