Partiamo con la definizione: per “responsabilità sociale d’impresa”, o CSR acronimo della stessa espressione inglese “Corporate Social Responsibility”, si intende l’integrazione volontaria delle preoccupazioni sociali ed ecologiche da parte delle imprese, di qualsiasi dimensione, nelle loro operazioni commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate.
Da una ricerca condotta a fine 2009 risulta che le imprese italiane sono il fanalino di coda nel mondo nell’attuare comportamenti socialmente responsabili: su 31 Paesi analizzati l’Italia è solo al 26° posto, poco sopra il Messico, il Perù, l’Egitto e la Grecia.
Per l’Italia si tratta di un posizionamento distante dai principali Paesi europei e, più in generale, dai Paesi sviluppati: nella prima posizione della classifica appare la Svizzera seguita da Danimarca, Singapore, USA, Svezia. Fino a poco tempo fa poteva essere sufficiente “compensare” con una donazione i danni arrecati alla collettività o al pianeta nello svolgimento della propria attività d’impresa.
Oggi non è più così: temi come la fame nel mondo e l’inquinamento ambientale che difficilmente si conciliano con le logiche aziendali, rientrano nel concetto di sostenibilità, concetto che non può più essere messo in discussione, perché divenuto fattore chiave del business che può aumentare la competitività dell’azienda, andando oltre i benefici temporanei in termini di ritorno d’immagine.
Per i vertici delle nostre aziende, purtroppo, i fattori chiave per il successo sono riconducibili soltanto al mercato e il principale beneficio che si trae dalle azioni di CSR è reputazionale e di brand. Deve dunque cambiare l’ottica secondo la quale agire.
Anche se quasi ultime in classifica, le imprese italiane adottano alcuni interventi socialmente responsabili. I più significativi sono dedicati principalmente:
- alle persone, nel campo della salute e della sicurezza o della formazione;
- alle comunità, come attività di beneficenza e donazioni, partnership con enti locali e associazioni no profit;
- all’ambiente, creando ad esempio prodotti a minor impatto ambientale, certificazione ISO 14001 e pubblicazione dei dati ambientali.
Un appello giunge da Emma Marcegaglia, presidente di Confindustria: «il governo e le istituzioni supportino la responsabilità sociale, leva sempre più strategica nella competizione con i Paesi emergenti». Vero è che in una competizione globale sempre più forte e in cui i Paesi una volta definiti “emergenti”, come India e Cina, sono oramai grandi potenze industriali, il tema della responsabilità sociale diventa ancor più strategico e più critico, perché sono proprio questi Paesi che spesso non hanno attenzione verso temi fondamentali come il rispetto all’ambiente e del lavoro.
Potrebbe essere una spinta non indifferente l’intervento delle competenti autorità a sostegno delle imprese in questo campo. È però da ricordare che in Italia le Camere di Commercio svolgono un ruolo importante nello sviluppo della consapevolezza delle problematiche etiche da parte delle imprese, attraverso un’attività di assistenza e supporto finalizzata a consolidare la creazione di modelli di azione accettabili per tutte le istanze sociali presenti sul territorio e sui mercati di riferimento.
Oltre a dare impulso alla diffusione della responsabilità sociale, ci sono altri strumenti che le CCIAA portano all’attenzione delle imprese e che non sono da sottovalutare:
- il Bilancio Sociale, il mezzo più adatto per trasferire all’esterno il valore aggiunto di un’organizzazione, attraverso una trasparenza che deve contraddistinguere il rapporto tra un’impresa e i suoi stakeholder;
- le Certificazioni Etiche, che possono assumere un forte valore strategico perché consentono di instaurare un rapporto di fiducia e credibilità tra l’impresa e i suoi portatori di interesse.