I peccati dell’Inferno diventano possibili punti deboli dei manager. E così l’accidia simboleggia la demotivazione, la gola la fame di incarichi. Ma c’è sempre il rovescio della medaglia, per cui ogni vizio nasconde una positività, per esempio il valore dell’otium insito nella demotivazione, o l’autostima spesso sottesa all’autoesaltazione (o superbia). Il Purgatorio è il regno degli interinali e dei contratti a tempo, mentre il Paradiso è il regno delle virtù aziendali.
Sono alcuni degli spunti forniti da “Dante per i manager. La Divina Commedia in azienda”, un vero e proprio manuale di management scritto da Enrico Cerni, manager e formatore della Generali Group Innovation Academy, corporate University del gruppo triestino. Il lavoro, edito dal Sole 24Ore, in libreria a partire dal prossimo 20 luglio, trae insegnamenti dirigenziali dall’opera del sommo poeta fiorentino. L’Inferno è, naturalmente, il luogo degli errori e del rischio numero uno per un’azienda: quello di chiudere. I guardiani che l’Alighieri presenta nella prima cantica rappresentano altrettanti tipi di manager, naturalmente negativi. Per esempio Caronte, il traghettatore infernale, diventa l’emblema del manager autoritario, Minosse è un arcigno rectruiting manager. Virgilio, invece, il poeta latino che accompagna Dante nelle prime due cantiche, è il mentore, insieme a Beatrice, che segue il poeta in Paradiso
Dante, spiega l’autore, anche nella sua vita reale (non solo nel viaggio metafrorico descritto nella Commedia) non ha mai sottovalutato l’importanza della formazione e degli “esempi” da seguire. Fra i suoi maestri, il «manager divulgatore Brunetto Latini», ricorda Cerni, e fra i suoi testi di riferimento, l’Etica Nicomachea di Aristotele, che «secondo Serge Latouche, filosofo francese autore dell’Invenzione dell’economia, oltreché di una serie di saggi sulla decrescita serena» si legge sempre nel testo per i manager, «rappresenta una prima riflessione organica sul valore e sui prezzi e cioè sul cuore stesso dell’economia».
«Nel mezzo del cammin di nostra vita, mi ritrovai per una selva oscura, che la diritta via era smarrita». La terzina d’apertura del poema simboleggia il pericolo che ogni manager sa di correre, quello di smarrire la diretta via, di sbagliare nel perseguimento degli obiettivi, errore che «può essere causato da due mancanze». La prima è «l’assenza di una meta» quindi la mancanza di una vision, la seconda «da guardare con maggior benevolenza rispetto alla prima ma ugualmente minacciosa», spiega l’autore, è «la non conoscenza del percorso per raggiungere gli obiettivi noti».
Il lavoro di Cerni è ricco di citazioni relative ai pensatori contemporanei e alle più avanzate teorie di management (Howard Gardner, Gary Hamel, Henry Mintzberg, Stephen Covey, Tom Peters) le cui idee si incontrano con Ulisse, Paolo e Francesca, il Conte Ugolino, in un viaggio simblico che aiuta il manager a gestire persone e risorse.
Il filo conduttore dell’opera, di pari passo con il viaggio dantesco verso «l’amor che move il cielo e l’altre stelle» è il desiderio di eccellenza, la capacità di puntare agli obiettivi più alti, attraverso la ricerca, l’innovazione, lo sviluppo, il cambiamento.
Un’opera, infine, che insieme a tante esperienze recenti, dalle famosissime lezioni di Roberto Benigni alla recente edizione divulgativa di Vittorio Sermonti, rappresenta una nuova opportunità per conoscere il grande poeta e la sua opera principale. Un artista che, spiega Cerni, «nei secoli, è riuscito a creare un rilevante clima di intimacy con il suo pubblico, con i suoi clienti. Ha conquistato seguaci. Ha creato con i lettori un legame tanto profondo da essersi fatto chiamare dalla Storia per nome di battesimo». Alcune delle strade, moltissime in tutto il paese, dedicate a lui, vengono indicate con il nome di battesimo, non con il cognome. Mentre «Shakespeare – sia pur lodato il drammaturgo inglese – non è Willy».