Queste settimane sono molto importanti, perché siamo all’inizio del terzo trimestre dell’anno e gli investitori solitamente cercano conferme sul contesto macro e sullo stato di salute delle società. A luglio, infatti, oltre alle consuete rilevazioni mensili sullo stato di salute dell’economia, vengono diffusi i dati del Pil del secondo trimestre e nello stesso mese vengono pubblicate le trimestrali sui risultati delle aziende.
Se ripercorriamo brevemente gli avvenimenti che hanno caratterizzato le ultime sedute, emergono in tutta la loro interezza le contraddizioni che attualmente contraddistinguono i mercati. È importante, pertanto, monitorare con grande attenzione lo stato di salute dell’economia mondiale.
Dall’Area Euro, fonte, nelle precedenti sedute, di preoccupazioni per la crescita dell’economia mondiale, sono giunti segnali positivi. Il Prodotto interno lordo Inglese è risultato quasi il doppio di quelle che erano le attese del mercato (+1,1% rispetto ad un consenso dello 0,6%) e la sua crescita è stata dovuta sia al settore industriale che dei servizi; su base annua torna positiva per la prima volta dal secondo trimestre del 2008 e si colloca a +1,6%.
A luglio l’Ifo tedesco è balzato a 106,2 punti (101,8 il dato di giugno, 101,5 il consenso di mercato). Secondo le prime stime, ben oltre i 50 punti ed in recupero rispetto a giugno anche i Pmi di manifattura e servizi in Francia e Germania (unica eccezione il Pmi francese dei servizi, che cala leggermente): per l’Area euro nel suo complesso il Pmi della manifattura è salito a 56,5 rispetto ai precedenti 55,6 punti, quello dei servizi è salito a 56 dai 55,5 precedenti, il composito si è portato a 56,7 punti dai 56 di giugno.
In Italia sale a sorpresa la fiducia dei consumatori, che a luglio tocca i 105,6 punti rispetto ai 104,5 di giugno, mentre anche il Centro studi di Confindustria rivede al rialzo le stime sulla crescita italiana, nonostante la manovra restrittiva (che secondo i loro calcoli peserà dello 0,4% sia nel 2011 che nel 2012), portandole al +1,2% per quest’anno ed al +1,6% per il 2011: rispetto a dicembre la crescita è favorita dal deprezzamento dell’euro e dal rapido recupero del commercio mondiale; in altri termini, il rafforzamento dell’economia italiana verrà dalla domanda estera.
Tuttavia sono anche proseguiti, nel frattempo, i declassamenti da parte delle agenzie di rating su alcuni debiti sovrani (Moody’s ha declassato l’Irlanda da Aa1 a Aa2) e restano sul tappeto potenziali situazioni di forte crisi (in settimana il focus è andato sull’Ungheria, che ha opposto resistenza ad alcune manovre di rigore sui conti pubblici richeste dal Fondo Monetario Internazionale e dall’Unione Europea).
Diversa la situazione per gli USA, che fino a poco tempo fa stavano crescendo con tassi di sviluppo da paesi emergenti (oltre il 5,0% il Pil annualizzato del quarto trimestre del 2009 -per effetto della ricostituzione delle scorte), mentre oggi si parla di rischio stagnazione e di possibile deflazione.
A confemarne il rishio è stato anche il numero uno della Fed, Ben Bernake, che durante l’audizione presso il Senato ha evidenziato come le prospettive di crescita economica restano incerte e si è detto pronto ad intraprendere ulteriori azioni di sostegno all’economia, per favorire il ritorno al pieno utilizzo del potenziale produttivo del Paese in un contesto di prezzi stabili.
Negativi sono stai alcuni dati macro, come quelli sul mercato immobiliare e sulla fiducia dei consumatori, il famigerato indice Michigan. Il dato più importante, tuttavia, è atteso per questa settimana ed è sul Pil statunitense (l’attuale consenso si attesta su un +2,5% trimestrale annualizzato, non lontano dal dato conseguito nel Q1); saranno pubblicati anche alcuni indici sulle prospettive dell’economia statunitense e la fiducia dei consumatori.
Il contesto USA è un contesto complesso e incerto quanto quello Europeo, in mesi, questi, che odorano e sanno già di estate e in cui gli investitori languono e i volumi di scambio sono pressoché bassi. Incertezza e complessità evidenziatasi anche sul fronte delle trimestrali, che nel complesso hanno mostrato una tenuta degli utili in linea o superiore alle attese, ma con ricavi inferiori al consenso: è il caso di Ibm, Johnson & Johnson, alcune banche, Texas Instruments.
A livello complessivo, per oltre 160 società dello S&P500 registriamo utili in crescita del 30% rispetto al secondo trimestre del 2009. Il segnale che arriva è che le società mantengono una redditività che è ancora molto condizionata dal lato dei costi, in presenza di una crescita economica contenuta che influenza la dinamica del fatturato.
Questa situazione trova una sua rappresentazione grafica sui principali Indici USA (S&P, NASDAQ, DOW JONES). Anche se questi sono usciti da importanti pattern correttivi, è ancora troppo presto per ricavarne dei chiari segnali di recupero. È necessario, pertanto, attendere nuovi segnali positivi.