È stato veramente il giorno più lungo quello di ieri per l’ormai ex amministratore delegato di Unicredit, Alessandro Profumo. La banca ha annunciato definitivamente le dimissioni del top manager all’una e mezza di notte.
Questo, integralmente, il comunicato ufficiale: «Il Consiglio di Amministrazione di UniCredit e Alessandro Profumo hanno, a seguito dell’orientamento maturato dal Consiglio, concordato che, dopo 15 anni, è giunto il momento per un cambiamento al vertice del Gruppo. Alessandro Profumo ha quindi rassegnato le dimissioni da Amministratore Delegato, che il CdA ha accettato ringraziandolo per gli ottimi risultati raggiunti in questi anni. In particolare, il CdA ha sottolineato che sotto la guida di Alessandro Profumo il Gruppo si è trasformato da banca puramente domestica in uno dei principali Gruppi Europei. La capitalizzazione di mercato è cresciuta in questo periodo da €1,5 miliardi a circa €37 miliardi. Anche durante la crisi finanziaria globale UniCredit ha realizzato utili in ogni trimestre. Con questi risultati e attraverso i progetti in corso quali One4C sono state preparate le condizioni per un futuro di successo sostenibile per il Gruppo. Fino alla nomina di un nuovo Amministratore Delegato, il CdA ha trasferito in via temporanea le deleghe esecutive al Presidente Dieter Rampl, che, supportato dai Deputy CEOs guiderà il Gruppo. Inoltre, il CdA ha dato mandato al Presidente Rampl di identificare e proporre il successore di Alessandro Profumo nelle prossime settimane. Alessandro Profumo ringrazia il CdA, gli azionisti e tutti i colleghi del Gruppo per averlo sempre supportato in questi anni».
In borsa, la reazione del titolo non è fatta attendere, con un calo intorno al 3% dopo un’altalena proseguita per l’intera giornata di ieri. Profumo ha incassato attestati di stima da parte dell’intero, o quasi, establishment italiano: il presidente degli industriali, Emma Marcegaglia, i banchieri, a partire dal numero uno di Intesa Sanpaolo Corrado Passera, persino il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, a cui alcune ricorstruzioni attribuiscono un tentativo di moral suasion in extremis presso gli azionisti per evitare la rottura. Ha incassato anche una grande attenzione da parte di tutti i principali organi di stampa stranieri, dal Financial Times al Wall Street Journal all’Economist al Guardian al New York Times al Pais.
E ha incassato una liquidazione da capogiro, intorno ai 40 milioni di euro. La giornata è stata non solo lunghissima, ma anche densa di colpi di scena. La mattinata si è aperta con le indiscrezioni, autorevoli, relative all’uscita del Ceo, poi smentite nel primo pomeriggio dalla banca, quindi rimbalzate nuovamente nel pomeriggio. Alle 18 è iniziato un consiglio di amministrazione fiume, che ha visto i consiglieri andare alla conta. Alla fine, una sfiducia pesante, quasi unanime, con un unico voto palesemente a favore dell’ad uscente, da parte di una delle uniche due donne del board (e così c’è anche la nota di colore), Lucrezia Reichlin.
«Hanno dovuto trovare il coraggio di togliermi la fiducia», ha dichiarato, secondo le ricostruzioni, l’ad che ha passato la serata nello studio degli avvocati Bonelli, Erede, Pappalardo. «Non avevo mai pensato alle dimissioni» avrebbe anche detto a uno stretto collaboratore l’ad, secondo quanto riporta il Sole 24 Ore, che aggiunge un’altra frase: «Volevo che questa operazione finisse con trasparenza e che emergessero le impronte digitali».
In realtà i dubbi rimangono. Il casus belli è rappresentato dalla mini scalata dei libici, che a fine luglio attraverso la Libyan Investment Authority hanno rosicchiato poco più del 2% del capitale, poi incrementato di mezzo punto, quota che aggiunta al 4,99% della banca centrale libica porta il paese africano ad essere il primo azionista di Unicredit con il 7,5%. Gli acquisti estivi sarebbero transitati per Piazza Cordusio, e Profumo è accusato di non aver comunicato nei tempi e nei modi dovuti la notizia ai soci. Sul fatto che tutto si esaurisca nella vicenda libica ci sono perplessità. Sullo sfondo, oltre alla politica, una divergenza, poi diventata frattura, con gli azionisti, fondazioni in primis, e con i soci tedeschi. È possibile che con il tempo tutto diventi più chiaro, ma almeno per ora la trasparenza non ha certo vinto.