Globalizzazione agricola

di Rosanna Marchegiani

24 Settembre 2010 10:00

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La globalizzazione rischia, nel settore agricolo, di accrescere il divario già esistente tra i paesi ricchi e quelli poveri

La globalizzazione a cui stiamo assistendo negli anni recenti è un fenomeno assai complesso. Essa è sinonimo di creazione di un unico villaggio globale favorito dalla crescita delle relazioni e degli scambi tra i vari paesi del mondo. Gli stati nazionali lasciano il posto, sempre più, ad una economia, una politica, una cultura mondiali.

Anche se la globalizzazione è un fenomeno recente, le sue radici si perdono nella storia: i primi cambiamenti a livello globale si sono avuti con le prime scoperte geografiche e la colonizzazione moderna. Il fenomeno, tuttavia, è stato molto graduale, mentre si è accelerato solo in epoca moderna creando un mercato globale privo di barriere protezionistiche.

Tuttavia, nel settore agricolo ed agroalimentare, la globalizzazione ha accentuato il divario esistente tra paesi ricchi e paesi poveri e i problemi legati alla fame nel mondo.

Le disponibilità di beni alimentari a livello mondiale sono sufficienti a far fronte alla domanda globale: la fame non è un problema legato alla disponibilità dei prodotti agricoli, ma ai bassi livelli di reddito in taluni paesi.

Secondo i dati forniti dalla FAO, oggi, circa 2 miliardi di persone vivono in condizioni di estrema povertà, cioè dispongono di meno di un dollaro al giorno. La maggior parte di questi poveri vive nei paesi dell’Asia meridionale e dell’Africa sub-sahariana, dove l’agricoltura rappresenta l’unica fonte di reddito.

Ma l’agricoltura come ha risentito del fenomeno della globalizzazione?

Sicuramente uno maggiori problemi dell’agricoltura dei paesi poveri è rappresentato dalle tecniche obsolete di coltivazione e dalla mancanza di adeguati livelli di professionalità. Alle scarse rese produttive si è cercato di rispondere con l’introduzione di sementi ibride più produttive rispetto a quelle normali. Al di là di quelli che sono i dubbi circa gli effetti che il consumo di tali prodotti possa avere sull’uomo, va detto che tali ibridi non possono essere riprodotti e devono essere acquistati ogni anno da società multinazionali che li detengono e che ne stabiliscono i prezzi dato che operano in regime oligopolistico.

D’altra parte, tali ibridi sono molto vulnerabili agli attacchi di insetti nocivi e richiedono l’uso massiccio di pesticidi la cui spesa è notevolmente crescita con il rischio di un aumento dei costi che devono sostenere gli agricoltori dei paesi più poveri: tutto ciò si traduce in un aumento della loro povertà, al di là di possibili conseguenze sulla salute umana.

Inoltre, la ripetizione delle stesse coltura nel tempo riduce la biodiversità e rischia di incidere negativamente sia sulla produttività del suolo, che sulla diversificazione del cibo disponibile in tali paesi.