Dopo Cina e Polonia, l’Italia è il terzo fornitore della multinazionale svedese, che produce l’8% dei mobili firmati Ikea, destinati al panorama mondiale.
Sembrerebbe un dato estremamente positivo se non si valutasse cosa c’è dietro. In realtà, come dichiara l’amministratore delegato di Ikea Italia, Roberto Monti, nel nostro paese l’azienda svedese incontra numerosi impedimenti da parte degli enti locali e dei comuni.
La burocrazia italiana, famosa per essere lenta e dispersiva, a volte si distingue anche per la sua inefficienza. È questo il caso che vede tempi di apertura dei punti vendita che variano dai tre, Napoli, ai nove anni, Padova. Nonostante l’azienda svedese sia pronta a investire in ricerche di marketing strategico, nell’acquisto di terreni e nel miglioramento delle infrastrutture e nei processi di urbanizzazione volti a permettere una circolazione fluida nei pressi degli outlet, gli ostacoli a cui va incontro sono numerosi e inaspettati.
Il vero problema riscontrato dagli investitori svedesi è l’incertezza dell’andamento del processo di apertura di un punto vendita. I permessi commerciali e di costruzione variano da comune a comune, da caso a caso, non esiste un iter standard a cui fare riferimento.
L’incertezza delle tempistiche, a fronte di progetti chiari e approvati, l’insorgenza di intoppi incomprensibili, possono scoraggiare anche i più esperti professionisti. Sebbene Ikea abbia interesse e intenzione di aumentare la propria presenza nella penisola italiana, c’è il rischio che questa sfida diventi infruttuosa e, come specifica lo stesso Ton Reijmers, general manager per l’Italia, «non è detto che rimarremo a lungo, se continueremo ad avere tanti problemi per la nostra espansione. Il rischio di un passo indietro c’è».