Tempi duri per le mamme che lavorano. Un’indagine Regus evidenzia come in questo 2011 le imprese dimostrino una riluttanza maggiore che in passato ad assumere esponenti del gentil sesso che hanno avuto un figlio.
Un trend che riguarda l’Italia ma non solo. Un’analoga situazione viene fotografata in Gran Bretagna, paese che ha appena portato il congedo parentale a 12 mesi e soprattutto lo ha esteso anche ai papà.
La nuova norma è stata inserita nel “Piano famiglia” che enterà in vigore dal prossimo aprile. E prevede che saranno i due genitori a decidere se, a casa con il bambino, dovrà restare la mamma o il papà. La legge è stata accolta dalla politica con un consenso bipartisan, mentre dal mondo delle imprese sono arrivate critiche. Ad esempio, il direttore della Camera di Commercio di Sua maestà, David Frost, commenta che la norma «in tempo di crisi è un vero disastro».
L’indagine di Regus non si occupa di sondare il sentiment verso l’eventualità del congedo per i papà, ma di registrare i trend relativi alla situazione attuale, in cui a stare a casa con i neonati sono in genere le donne. Il risultato è che nell’immediato futuro per le mamme si registra un crollo delle opportunità. Nel mondo, il 36% delle aziende dichiara di voler puntare sull’assunzione di neo mamme in questo 2001, con un deciso ridimensionamento rispetto al 44% dello scorso anno.
L’Italia è sotto la media: a fronte di un 36% di aziende che intende assumere personale nel 2011, solo il 28% dichiara di voler impiegare un maggior numero di neomamme. Nella Gran Bretagna in cui è appena stata deciso il congedo anche per i papà, le aziende che intendono assumere donne con figli sono il 26%, contro il 38% dell’anno scorso.
Questo, a fronte di un 43% di società che hanno intenzione di incrementare il personale nel corso dell’anno. Tornando in Italia, si registra l’eccezione rappresentata dalle pmi, che prevedono di assumere neomamme nel 34% dei casi, una cifra molto vicina alla media internazionale.
I motivi per cui le aziende sono scettiche nei confronti delle giovani madri sono diversi: il timore di una minor flessibilità e impegno rispetto agli altri dipendenti (37% nel mondo, 45% in Italia), la paura che abbandonino il lavoro per aver un altro figlio (33% nel mondo, 46% in Italia). A livello internazionale emerge anche il timore che abbiano capacità professionali inadeguate (24%).
C’è però anche il rovescio della medaglia. Il 72% delle aziende pensa che non investire nel ritorno al lavoro delle donne dopo la maternità, magari in part-time, rappresenti la rinuncia a una parte di valore del personale. Il 55% ritiene che le mamme offrano qualità difficili da trovare sul mercato, il 57% le apprezza perché offrono capacità migliori senza chiedere stipendi troppo alti. Quest’ultima percentuale in Italia è più bassa, 54% forse a dimostrare che c’è una maggior possibilità contrattuale per le mamme che lavorano.
Mauro Mordini, direttore di Regus Italia, Malta e Israele, commenta: «Non mi sorprende assistere al ritorno di atteggiamenti prevenuti in un periodo di ristrettezze economiche. È evidente che alcune aziende conservano tuttora antichi timori. Sebbene la maggioranza delle aziende concordi sul fatto che chiudere la porta alle madri voglia dire tenere fuori personale di grande valore, si teme ancora che gli impegni familiari possano impedire alle madri di impegnarsi a fondo nel proprio lavoro. Con l’evoluzione dell’ambiente di lavoro è ormai riconosciuto che le aziende in grado di integrare queste valide risorse hanno migliori possibilità di successo».
Lo stesso Mordini sottolinea che però «in Italia, il 61% delle donne abbandona il lavoro dopo la nascita del primo figlio a causa della carenza di infrastrutture adeguate», ma «le aziende più lungimiranti capiscono che possono offrire un ambiente» più accogliente per le famiglie e «allo stesso tempo più produttivo semplicemente consentendo ai dipendenti di lavorare in orari alternativi o più vicini a casa». Conclusione: «Riconoscere che le esigenze delle mamme che lavorano non sono eccezionali ed estenderle a tutti i lavoratori produrrà vantaggi in termini di produttività e riduzione delle spese, oltre a rendere il personale più motivato».