No, il management non è una professione. Sì, il management è una professione. Sono le due tesi diametralmente opposte che si fronteggiano in un dibattito che si svolge en plein air sul sito di Harvard Business Review Italia.
A tenere le fila della discussione, avviata nel marzo 2009 a partire da un articolo di Khurana e Nohria dell’ottobre 2008 intitolato “È ora che il management diventi una vera professione”, è il direttore della rivista Enrico Sassoon, co-fondatore e amministratore delegato di Strategiqs Edizioni.
Il tema, venendo da lontano, è destinato a riaccendere la polemica non appena qualcuno sia disposto a rinfocolarla. Le opinioni, formulate con grande nettezza in un senso e nell’altro, appaiono inconciliabili.
L’idea di Khurana e Nohria prende le mosse dalla costatazione di una perdita di legittimità della figura del manager, deteriorata da scandali e crisi, per argomentare a favore della costituzione di un ordine professionale, dotato di un codice deontologico universale da rispettare, equiparando l’attività a quella di medici e avvocati.
I manager, per esercitare il loro ruolo, dovrebbero ricevere un’istruzione formale e accedere alla professione tramite abilitazione con aggiornamento e periodica verifica dei requisiti. Di parere diverso Richard Baker ed Henry Mintzberg, secondo il quale il management è essenzialmente una “pratica nobile”, quindi intrasmissibile, che non si può insegnare attraverso un iter educativo formalizzato.
La managerialità non si acquista con una laurea o con un MBA (Master of Business Administration), anzi molto spesso il lavoro manageriale è in realtà caratterizzato da «sapere sempre di meno su sempre più cose, fino al punto di non sapere niente di ogni cosa» (“Il lavoro manageriale” – Henry Mintzberg).
Quanto al problema dell’etica del management, se entrambi gli schieramenti concordano sul fatto che la leadership aziendale dovrebbe avere una visione del ruolo che vada al di là della semplice responsabilità degli azionisti, l’uno però la riconduce alla vigilanza interna all’ordine professionale, proponendo un “giuramento d’Ippocrate per i manager”, l’altro invece al controllo della società nel suo complesso, pronta a sanzionare ed espellere i membri della comunità incapaci di difendere il valore dell’azienda in un’ottica di interesse generale.
Chiaramente, il discorso sull’inquadramento o meno del manager nell’ambito delle professioni liberali ha molte altre implicazioni e sfaccettature su cui le voci discordanti a volte raggiungono un terreno d’intesa. Ma il bello è vedere come questa disputa si mantenga aperta sul canale web spingendo dirigenti d’azienda o consulenti di alto livello a partecipare con commenti di elevato profilo postati alla stessa stregua di comuni netizen in calce ad un intervento di Enrico Sassoon.