Troppo spesso mi capita di tenere corsi sui social media nei quali i partecipanti – generalmente marketing manager di imprese interessate ad utilizzarli come veicolo di marketing e di comunicazione – accettano con diffidenza l’iscrizione a tali contesti perchè, in modo assolutamente legittimo, temono un’invasione indebita nella loro privacy.
Come detto, tutto legittimo. Certo è che diventa difficile trovare la giusta direzione per un’azienda, senza mettersi prima dalla parte dell’utente e senza “vivere” Facebook, Twitter e i blog. Questi sono dei “luoghi” che dovrebbero innanzi tutto essere ascoltarti, prima ancora di volerli sfruttare in un’ottica di business, anche se le due cose sono assolutamente legate.
Il suggerimento è quello di Eric Schmidt – l’ormai ex AD di Google che, nel suo intervento al convegno DLD sullo stato dell’editoria digitale organizzato da Burda a Monaco la scorsa settimana, ha ripetuto come un mantra la frase «con il mio permesso».
Dobbiamo infatti imparare, come persone e come utenti della Rete prima ancora che come manager, ad utilizzare e a sentire nostri i social media (se non Facebook, altri che meglio possano essere in linea con il posizionamento della nostra azienda e con la conseguente strategia), non avendone timore perchè nulla è fatto in realtà se non “con il mio permesso”.
La geolocalizzazione non offende la nostra privacy. Se noi non ci registriamo su Facebook Places o su Foursquare gli sconosciuti non curioseranno fra le nostre foto se noi non avremo settato il nostro profilo come pubblico; i nostri pensieri non verranno letti se non dagli amici che noi abbiamo accettato come tali.
Se non sapremo superare tali barriere noi come persone, difficilmente sapremo metterci nei panni degli utenti e trovare le parole giuste con le quali comunicare all’interno del piano editoriale che ci dovremo dare per essere capaci di offrire una ragione perchè loro possano con soddisfazione essere nostri fan o nostri follower.