Il sistema vino è un fiore all’occhiello del Made in Italy, un settore che vale 13,5 miliardi di euro a cui si possono aggiungere 2 miliardi di indotto. Ma ci sono luci e ombre. Se per esempio le esportazioni vanno benissimo, con una crescita che nel 2010 ha raggiunto il 12% raggiungendo i 3,93 miliardi di euro, i consumi interni segnano invece il passo. Per la prima volta, segnala la Coldiretti, lo scorso anno ha visto il valore dell’export superare il mercato nazionale, le cui vendite si sono fermare a 3,89 miliardi.
Cogliere le nuove opportunità che arrivano dall’estero, in particolare dai mercati asiatici, e sostenere il mercato interno sono i due temi portanti dell‘edizione 2011 del Vinitaly, che ha preso il via oggi a Verona e si concluderà il prossimo 11 aprile.
Quella di quest’anno è la 45esima edizione della piùgrande fiera del mondo del settore e, come ha spiegato Ettore Riello, presidente di Veronafiere, stamattina in sede di inaugurazione, si presenta forte di oltre 4mila espositori distribuiti su oltre 92mila metri quadrati netti di superficie espositiva.
Lo stesso Riello ha fatto il punto sulla situazione più critica, quella del calo dei consumi interni, che prosegue «dai 100 litri pro capite degli anni Settanta ai 45 litri del 2007 fino ai circa 40 litri a testa di oggi» con un trend «destinato, secondo le previsioni, a diminuire ulteriormente entro il 2015». Il problema, sottolineato nei giorni scorsi da Giuseppe Martelli, direttore generale di Assoenologi, è che «con una vitienologia strutturata come quella italiana, sicuramente non si può vivere di solo export». Alcuni dati: «in Australia dieci aziende producono oltre il 90% del vino esportato e in Cile su 120 realtà vitivinicole quasi 100 lavorano solo per l’esportazione. In Italia invece le aziende sono oltre 450mila, con un superficie media che non raggiunge i tre ettari, contro i 300 di Cile e Australia».
Anche da un’indagine Vinitaly-Winenews emerge come i mercati esteri siano fondamentali per la crescita del fatturato, situazione a cui possono far fronte le aziende più grosse, che però sono poche rispetto alle tante piccole imprese che caratterizzano il panorama produttivo italiano e hanno ancora fatturati piuttosto deboli.
L’inchiesta ha preso in considerazione 50 aziende fra le più rappresentative, che in media hanno chiuso il 2010 con un incremento del +8% dei ricavi, trainati in particolare dall’export, +14%. Per il 2011, manifestano un certo ottimismo: il 75% dichiara un sentimento abbastanza positivo, il 15% lo prevede positivo mentre c’è un 10% di cantine che lo percepisce ancora negativo. I punti maggiormente critici evidenziati dall’indagine sono le incongnite economiche, la debolezza dei consumi, la perdita di competitività internazionale, la concorrenza degli altri paesi produttori.
Il boom dell’export, secondo la Coldiretti, è dovuto in buona parte agli Usa, che nel 2010 sono diventati il Paese con il maggior consumo di vino al mondo. Il mercato americano, che vale circa 30 miliardi di dollari, è coperto per il 61% dalla produzione californiana, ma l’Italia ha conquistato il primato fra le bottiglie straniere, crescendo in valore del +11%.
La destinazione più importante delle etichette italiane resta la Germania, +4% nel 2010, mentre si impongono sempre piùla Cina, con un raddoppio delle esportazioni, l’India, +65%, e la Russia, +58%, con un valore dell’export di 104 milioni.
Coldiretti ha anche analizzato l’importante valore occupazionale del mondo del vino: dalle 250 mila aziende italiane nascono opportunità di lavoro per 1,2 milioni di persone. Sono circa mezzo milione di titolari di vigneti, che hanno circa 210 mila dipendenti, di cui oltre 50 mila sono giovani e 30 mila stranieri. E al lavoro in vigna bisogna aggiungere le opportunità in settori limitrofi come commercio e ristorazione, vetro, sughero, etichette e imballaggi, ma anche ricerca, editoria, finanza, enoturismo, benessere, bioenergie.