Che la situazione non fosse neanche lontamente sotto controllo, era chiaro a tutti. Ma ora l’allarme assume proporzioni da incubo. Il Giappone ha alzato il grado di pericolosità della centrale di Fukushima a livello 7, lo stesso del di Chernobyl. L’agenzia nipponica per la sicurezza nucleare, Nisa, ha aggiunto che l’emissione di radiazioni è pari al 10% di quella che si verificò nel 1986 dopo l’esplosione nell’impianto in Ucraina, quindi molto più bassa.
Resta il fatto che il livello di allarme misura proprio l’emissione di radiazioni pericolose, e che in un sol colpo è stato alzato di ben due gradini, da 5 a 7. Secondo la classficazione dell’Agenzia internazionale dell’energia atomica, il livello 5 implica una fuoriuscita limitata di radioattività, mentre il 7 equivale a una forte perdita radioattiva con gravi danni per la salute e per l’ambiente. La Tepco, la società che gestisce l’impianto, comunica che l’innalzamento del livello di pericolosità è provvisorio, e che la classificazione definitiva dell’incidente avverrà in un secondo tempo dopo ulteriori perizie di esperti.
Hidehiko Nishiyama, portavoce della Nisa, ha sottolineato che contrariamento a quanto successo a Chernobyl qui non è esploso il nocciolo, e dunque la «situazione è completamente diversa». Ma ci sono state esplosioni di idrogeno, e anche sulla base delle dichiarazioni che stanno rilasciando i funzionari Nisa, il problema è che la fuoriscita di materiale radioattivo prosegue da settimane e non si è ancora arrestata. Il risultato è che nell’atmosfera sono state rilasciate quantità radioattive tali da provocare l’innalzamento l’allarme al livello massimo della scala internazionale. Ci sono persino dichiarazioni secondo cui esiste il timore che la perdita alla fine possa addirittura superare quella di Chernobyl.
Districarsi fra queste dichiarazioni è difficile, ma certamente la situazione è particolarmente grave. Un altro funzionario della Nisa, Minoru Oogoda, spiega che l’allarme è stato alzato «perchè la fuoriuscita di radiazioni ha avuto impatto nell’atmosfera, nelle verdure, nell’acqua di rubinetto e nell’oceano». E questo, significa che il disastro è ormai una realtà.
La differenza principale con il disastro di Chernobyl è rappresentata dalle modalità dell’incidente. «Lì c’era stata un’esplosione e nessun contenimento e sono stati tutti colpiti» spiega Murray Jennes, esperto nucleare e professore all’Università di San Diego, mentre «a Fukyshima il contenimento sta tenendo, la sola cosa che non ha resistito è l’invaso di combustibile che ha preso fuoco».
Quando, l’11 marzo scorso, il terremoto e lo tsunami colpirono il Giappone, sembrava che la centrale avesse resistito. In realtà i reattori non sono stati immediatamente danneggiati, a non reggere è stato l’impianto di raffreddamento, e tutte le operazioni che da quel momento si sono susseguite (e ancora proseguono) non sono riuscite a rimettere in sicurezza la centrale.
Proprio oggi il governo giapponese ha cercato di fornire rassicurazioni. Il premier Naoto Kan ha detto che la situazione alla centrale si sta «gradualmente stabilizzando» e che «le radiazioni stanno diminuendo». Dichiarazioni che però contrastano con il fatto che è stata alzato il livello di pericolosità. Fra l’altro, proprio ieri l’esecutivo di Tokyo aveva deciso di estendere la zona di evacuazione intorno a Fukushima anche ad alcune cittadine e paesi che non sono compresi nel raggio di 20 km, il limite precedentemente fissato. La motivazione di questa mmisura non è un aumento della perdita radioattiva ma il pericolo per la salute di un’esposizione prolungata.