Italia post-crisi: indietro di 10 anni

di Barbara Weisz

23 Maggio 2011 14:35

logo PMI+ logo PMI+
Rapporto Annuale Istat: ultimi in Europa, allarme giovani e lavoro femminile. Conti pubblici: Moody's e Fitch più ottimiste di Standard and Poor's.

Non c’è proprio da stare allegri. Un italiano su quattro è a rischio di povertà. Ma il problema numero uno dell’Italia è la crescita, che nell’ultimo decennio ha registrato i livelli piu’ bassi d’Europa. La fotografia è scattata dal Rapporto Annuale ISTAT sulla situazione del Paese, a 48 ore di distanza da un’altra piccola doccia fredda per i conti nazionali, il giudizio di Standard and Poor’s, che ha abbassato l’outlook (qundi le previsioni sulla tenuta dei conti) da stabile a negativo.

Se la crisi è alle spalle, la timidissima ripresa non consente neanche lontanamente di pareggiare i conti: la nostra economia è tornata indietro di 10 anni. Ci sono delle vere e proprie emergenze che riguardano la disoccupazione, i giovani, la posizione femminile nel mondo del lavoro, il Mezzogiorno.

Il ministro dell’Economia Giulio Tremonti ha espresso rassicurazioni sul fatto che l’Italia manterrà tutti gli impegni, e oggi il parere di S&P viene in parte mitigato dal fatto che per le altre due agenzie di rating internazionali, Fitch e Moody’s, le prospettive italiane restano stabili.

Ma partiamo dal Rapporto dell’ISTAT. L’Italia ha pagato a causa della recessione “un prezzo elevato in termini di produzione e di occupazione” ha spiegato Enrico Giovannini, presidente dell’Istat, presentando il rapporto alla presenza del capo dello Stato, Giorgio Napolitano, e di esponenti del Governo e del Parlamento. Il paese ha anche limitato l’impatto sociale ed evitato “crisi sistemiche analoghe a quelle di altri paesi”, grazie alla ricchezza delle famiglie, agli ammortizzatori sociali, alla rigorosa gestione del bilancio.

Ma i dati sono pesanti: il 24,7% della popolazione è a rischio povertà o esclusione sociale. Nel 2009-2010 mezzo milione di giovani sotto i 30 anni ha perso il lavoro, a cui si aggiungono i 322mila fra i 30 e i 49 anni e i 291mila over 50. Fra le donne, 800mila donne hanno dovuto abbandonare il posto dopo la maternità: l’8,7% delle madri lavoratrici è stata licenziata o costretta a dare le dimissioni. Il fenomeno colpisce soprattutto le piu’ giovani e le residenti nel Mezzogiorno. Le donne continuano a essere un pilastro della rete informale di assistenza e cura, ma fanno sempre piu’ fatica. E sono discriminate in termini di stipendio, con una disparità salariale media del 20%.
Per la prima volta i risparmi delle famiglie italiane sono sotto quelli europei, con una propensione al risparmio al 9,1% nel 2010, il livello piu’ basso dal 1990.

La crescita è lentissima, e se il divario con il resto d’Europa si è allargato nel corso della crisi, viaggiavamo già a un ritmo dimezzato fra il 2001 e il 2007. La Germania, che insieme all’Italia è il paese ad aver accusato il maggior rallentamento negli anni della recessione, ha pienamente recuperato, mentre noi siamo ancora 5,1 punti sotto al primo trimestre 2008 (in Europa il divario medio da colmare è di 2,1 punti percentuali). Insomma, quanto a crescita siamo un fanalino di coda. La debolezza dell’economia riguarda l’intero sistema produttivo, dunque le imprese. La crisi peggiore è relativa al settore industriale, ma in genere la ripresa delle attività produttive è stata solo parziale dopo la crisi e a partire dalle metà dell’anno scorso si è affievolita.

Proprio la debolezza della crescita è, insieme ai dubbi sulla capacità della politica di operare le riforme necessarie per il risanamento dei conti e un aumento competitivo, l’elemento che ha determinato l’abbassamento dell’outlook di S&P (il rating invece resta immutato). Ma la novità di oggi è che questa opionione non è condivisa da Moody’s e Fitch, che non ritengono di dover modificare l’outlook, quindi le prospettive del rischio paese dell’Italia.