E adesso la battaglia per la successione a Dominique Strauss Kahn entra veramente nel vivo. Christine Lagarde, ministro delle Finanze francesi, oggi ha avanzato la proposta ufficiale: «ho deciso di presentare la mia candidatura a capo del Fmi», ha dichiarato, aggiungendo di sentirsi incoraggiata dal sostegno di «numerosi paesi».
E qui, volendo, iniziano le note dolenti, perchè se è vero che l’Europa sta facendo quadrato intorno allla signora delle finanze d’oltralpe, e gli Stati Uniti sembrano quantomeno disponibili a sostenerla, c’è un’aperta opposizione da parte dei Brics, Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica. I quali proprio oggi, poco prima della discesa in campo, hanno messo le proprie perplessità nero su bianco: “La pretesa di esclusiva dell’Europa rappresenta un elemento che mette a rischio la legittimita’ stessa del Fmi” affermano, spiegando chiaro e tondo che “la situazione richiede l’abbandono delle convenzioni obsolete e non scritte secondo cui il leader del Fmi deve necessariamente essere europeo”.
Non si tratta di un problema legato al nome della Lagarde, fra l’altro i Brics esprimono la loro critica senza avanzare una propria candidatura. Ma sollevano una questione di metodo. Convenzionalmente, il presidente del Fmi è sempre stato europeo, fin dalla fondazione dell’istitutzione, nel 1944, mentre agli “altri” paesi del mondo andava la poltrona alla Banca Mondiale. Ma ora, dicono i Brics «diversi accordi internazionali hanno spinto perchè ci sia un autentico processo trasparente basato su criteri di merito e di selezione competitiva del Managing Director del Fmi e delle altre posizioni di rilievo nell’organigramma delle istituzioni di Bretton Woods».
Traduzione: il mondo è cambiato, gli equilibri economici pure, e certe convenzioni non scritte hanno fatto il loro tempo.
Da sottolineare che in effetti quando nel 2007 fu nominato Strauss Kahn (che come tutti sanno si è appena dimesso dopo essere stato arrestato negli Usa con l’accusa di aver stuprato una cameriera), il presidente europeo Jean Claude Junker aveva detto che il prossimo presidente non sarebbe stato europeo.
Oggi, invece, l’Europa sostiene apertamente la Lagarde (oggi lo ha ribadito il numero uno della Comiissione Josè Manuel Barroso). Una posizione probabilmnete dovuta anche al ruolo fondamentale che il Fmi ha nella crisi del debito del Vecchio Continente, alle prese con i salvataggi dei paesi più deboli (Grecia, Irlanda, Portogallo).
La situazione è ulteriormente complicata da alcuni fattori. Anche i paesi sudamericani non vogliono un europeo (fra i nomi proposti, quello del governatore della Banca centrale del Messico, Agustin Carstens). La posizione della Cina sembra un pò trabballante, visto che ieri Pechino sembrava aver dato l’ok alla Lagarde, mentre oggi è tra i firmatari della presa di posizione critica.
A remare contro la ministra francese potrebbe concorrere anche una questione interna, finita nelle aule di tribunale: rischia di essere indagata per abuso d’ufficio per il ruolo giocato in un contenzioso fra Bernard Tapie e il Credit Lyonnaise che riguarda la vendita della Adidas nel ’93.
La signora (55 anni, avvocato, in politica dal 2005, primo ministro dell’Economia donna in un paese del G8, nel 2009 ministro delle Finanze dell’anno secondo il Financial Times) dimostra di aver le idee chiare, e oggi presentando la propria candidatura ha di fatto risposto a tutte le critiche.
Innanzitutto «non sono la candidata delle banche e del sistema». Quindi si è definita contraria al principio della ristrutturazione del debito, scherandosi così di fatto su una linea di continuità ad esempio nella gestione della crisi greca. Ha sottolineato di aver «la coscienza completamente a posto» in relazione alle questioni giudiziarie.
E ha dimostrato una buona dose di diplomazia dicendosi convinta che il Fmi «non appartiene a nessuno, se non ai 187 paesi membri» e annunciando un giro di consultazioni con numerosi paesi per presentare il suo progetto.
La nomina arriverà a fine giugno, per decisione dei 24 membri del board del Fmi.