Marcegaglia: l’Italia ha perso 10 anni in competitività

di Barbara Weisz

26 Maggio 2011 13:15

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È l'imperativo dell'agenda di Confindustria, che critica maggioranza e opposizioni. Servono riforme subito. Il discorso all'assemblea annuale.

Un atto di accusa in piena regola. Emma Marcegaglia, nel suo discorso all’assemblea annuale di Confindustria, non ha fatto sconti proprio a nessuno. Si è rivolta a maggioranza e opposizione, perchè «il decennio perduto alle nostre spalle, in termini di minore competitività e mancata crescita, viene da divisioni e lacerazioni interne a ciascuno dei due poli della politica». Al Governo, al quale riconosce gli sforzi fatti sul rigore nella finanza pubblica ma al quale rinnova la pressante richiesta di riforme. Alle istituzioni tutte, perchè «serve un ripensamento complessivo della funzione dello Stato e riforme profonde».

E non manca una stoccata anche interna, perchè in Confindustria «non ci sono soci di serie A e soci di serie B» e «sono finiti i tempi» in cui l’agenda di Viale Astronomia «era dettata da poche grandi imprese» (riferimento alla Fiat?).

Un discorso molto netto, davanti a una sala gremita in cui però spiccavano alcune assenza di rilievo, come quella del premier Silvio Berlusconi e del ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, impegnati al G8 francese. Un discorso che ha anche alzato il tiro, sollevando una vera e propria questione morale, con tanto di citazione: «diceva Max Weber: vengono talora momenti tanto gravi nella vita di una nazione in cui la testimonianza pubblica di chi vive di integrità privata non è più un diritto civile, ma un vero e proprio dovere morale». «Io davvero non ho dubbi – prosegue la presidente degli industriali italiani – Nei momenti difficili della vita del Paese e di grande discontinuità, noi imprese italiane, noi Confindustria siamo stati pronti non solo a tutelare le imprese, ma a batterci con tutte le forze per gli interessi generali del Paese».

Marcegaglia detta un’agenda precisa di quelle che sono le priorità per il mondo dell’industria. Innanzitutto, le richieste all’esecutivo. «La tenuta dei conti ci ha risparmiato di finire nell’occhio del ciclone dell’eurodebito. Un merito che riconosciamo al ministro dell’Economia e al governo». Ma ora, «la stagione della spesa facile deve essere considerata chiusa per sempre». Servono tagli, l’obiettivo dell’esecutivo è una riduzione del 7% per raggiungere il pareggio, e «manovre di questa entità impongono un ripensamento complessivo». Perchè «non si possono risolvere i problemi» con tagli lineare a spese correnti e investimenti pubblici, bisogna fare scelte «che non siano solo di quantità ma siano soprattutto di qualità, per aiutare la crescita».

Perchè la crescita è e resta l’imperativo. Il Pil italiano è aumentato del 45,2% negli anni Settanta, del 26,9% negli Ottanta, del 17% nei Novanta e del 2,5% nell’ultimo decennio. L‘incremento annuo della produttività è precipitato dal 2,8% negli anni Settanta a zero nel passato decennio. Il Pil per abitante nel 2010 è ancora sotto i livelli del 1999, rispetto alla media di Eurolandia è passato dal 106,8% del 1995 al 93,8% del 2011, «un arretramento che rischia di continuare». Conclusione, l’Italia deve guarire dalla «malattia della bassa crescita» e per farlo servono interventi più incisivi sulle infratrutture, riforma fiscale, ma anche liberalizzazioni, riforma della pubblica amministrazione.

E poi ancora, c’è un problema di arretratezza del Mezzogiorno, dove con le relative responsabilità di una politica che «ha invaso la P affermando politiche clientelari». Bisogna continuare, in tutto il paese, la lotta alla criminalità organizzata (e qui c’è un ringraziamento al ministro dell’Interno Roberto Maroni per il suo impegno, cosi’ come alla magistratura e agli imprenditori che si impegnano su questo fronte).
Infine, le questioni sociali. «Abbiamo appena fatto delle assise in cui ci siamo dati un obiettivo molto chiaro anche sulle relazioni sindacali». I nuovi contratti sono serviti a modernizzare le regole, ma ora serve «in tempi brevi» un «accordo convdiviso sulla rappresentanza e sulla esigibilità dei contratti». Secondo Marcegaglia bisogna «riprendere in mano le leggi sul lavoro» seguendo il seguente indirizzo: «proteggere i lavoratori dalla perdita di reddito, non dalla perdita del posto di lavoro» (qui il riferimento è allo statuto dei lavoratori e probabilmente all’art. 18).