Nelle aziende familiari, nei tre anni successivi alla successione del Ceo si registra un sensibile peggioramento della redditività. Lo rilevano Alessandro Minichilli e Guido Corbetta, del Dipartimento di Management e Tecnologia dell’Sda Bocconi e Mattias Nordqvist, della Jonkoping International Business School, in un working paper intitolato “CEO Succession, Organizational Context and Performance: A Socio-Emotional Wealth Perspective on Family Controlled Firms”.
Lo studio analizza le conseguenze del cambio del top management basandosi su una survey del 2008 sulle maggiori mille aziende familiari italiane per dimensione, prendendone un campione di 161, quotate e non, tracciate nell’arco di dieci anni (dal ’98 al 2007) e considerando l’impatto sui risultati reddituali in termini di Roa (return on assets) e Roe (return on equity).
Come detto, si registra un peggioramento sensibile della redditività nei tre anni immediatamente seguenti al cambio di Ceo. Hanno un peso notevole anche le caratteristiche dei due leader che si avvicendano. La situazione migliore è quella in cui il top manager uscente è da molto tempo nella sua posizione, e il collega entrante è un esterno che non appartiene alla famiglia di controllo: ci sono vantaggi collegati alla sostituzione di un leader che probabilmente ha perso lo stimolo ad innovare e a rischiare, che si sommano a quelli che derivano dall’arrivo di risorse manageriali di talento, più orientate ad obiettivi finanziari e meno vincolate alla necessità di preservare i valori della famiglia.
In questo caso, dunque, prevalgono gli aspetti positivi, ma questo effetto può essere bilanciato negativamente, e quindi ridotto, ad esempio dalla presenza di un consiglio di amministrazione fortemente familiare.
Il lavoro cambia la prospettiva che spesso la letteratura sul family business attribuisce al cambio di Ceo. In genere, il fatto che l’avvicendamento al vertice si ripercuota negativamente sui profitti viene legato alla difficoltà di trovare un successore in linea con il leader uscente. Lo studio invece si basa sul cosiddetto Socio-Emotional Wealth, che prende in considerazione una serie di elementi sottostimati nel valutare questo tipo di aziende: il senso di appartenenza dei componenti familiari all’impresa, la possibilità di esercitare l’influenza della famiglia sulle decisioni aziendali e la continuazione nel tempo della dinastia familiare.
Tutti questi fattori determinano una conseguenza: le decisioni vengono affrontate con criteri che a volte vanno oltre la pura razionalità manageriale, prendendo in considerazione ad esempio l’impatto che possono avere sul patrimonio sociale ed emotivo della famiglia.
In questa prospettiva l’impatto negativo del cambio di Ceo si spiega con «la volontà della famiglia di controllo -affermano Minichilli e Corbetta – di porre enfasi, durante una transizione così delicata, sulla preservazione» dei propri valori.