Economista, 45 anni, segretario di stato alle Finanze tedesche, dicastero in cui ha trascorso buona parte della sua carriera, una formazione che è passata per le aule dell’università Bocconi di Milano. E’ Jorg Asmussen, il banchiere designato alla successione di Jurgen Stark nel consiglio di amministrazione della Bce dopo le clamorose dimissioni di venerdì scorso. Un avvicendamento repentino, che venerdì ha fatto crollare le borse (oggi nuova giornata pesantissima, a causa dei rinnovati timori per il default della Grecia). E che è stato determinato proprio dagli scossoni finanziari che hanno caratterizzato gli ultimi mesi.
Stark si è dimesso perchè in disaccordo con le operazioni della Banca Centrale Europea di acquisto dei bond italiani e spagnoli. A questo proposito vale la pena di precisare subito che l’altro membro tedesco del board di Francoforte, Jens Weidmann, ha sottolineato che il cambio della guardia ha «rafforzato il suo impegno all’interno della Bce a lavorare per la stabilità monetaria e l’indipendenza della Banca centrale». Una precisazione importante, perché anche Weidmann in passato aveva espresso perplessità sulla scelta di politica monetaria dell’istituto centrale: «Non vedo ragione per seguire Stark» ha precisato, per togliere ogni dubbio sull’ipotesi che anche lui potesse dimettersi.
Intorno a questa girandola di super-manager si giocano le scelte più importanti dell’Europa in materia di politiche economiche e monetarie. Perchà Stark era un “falco”, tradizionalmente contrario a qualsiasi salvataggio, strenuo difensore della stabilità e del rispetto dei vincoli di bilancio fin da prima che l’euro nascesse. In questi giorni è stato ricordato che, negli anni ’90, come funzionario del governo tedesco, si era opposto al rientro della lira nello Sme, il sistema monetario europeo (tanto che l’allora ministro del Tesoro italiano, Carlo Azeglio Ciampi, si riufiutò di stringergli la mano).
Impostazione ben diversa quella del banchiere che si appresta a sostituirlo (operativamente la successione avverrà a fine anno). Asmussen ha buoni rapporti con l’Italia, e in particolare con l’attuale governatore della Banca d’Italia, futuro presidente della Bce, Mario Draghi. Parla persino l’italiano, imparato nei due anni in cui ha frequentato un master alla Bocconi. E’ un europeista convinto, oltre che um esponente dell’esecutivo guidato da Angela Merkel. Ma è soprattutto un banchiere, e si può ben immaginare che la difesa dell’indipendenza della Bce sarà prioritaria rispetto a qualsiasi considerazione politica. Tanto più in nome del ben saldo rapporto con Weidmann, di cui è amico fin dai tempi dell’università, quando fra l’altro erano entrambi allievi di Axel Weber.
Il quale, Axel Weber, nei mesi scorsi ha dato il via a questa girandola tedesca in senso al board di Francoforte, dimettendosi dai vertici della Bundesbank e quindi uscendo dal cda della Bce e rinunciando, di fatto, alla corsa per la presidenza, che lo vedeva in pole position. Le dimissioni di Weber di fatto spianarono la strada alla nomina di Draghi.
Ma furono anche il primo campanello d’allarme di un dibattito che sta infiammando l’Europa e i mercati, quello sul futuro dell’Euro. Perchè se tutti i leader politici europei sembrano d’accordo sul fatto che non si possa tornare indietro dalla strada imboccata con la moneta unica (la cancelliera tedecsa Angela Merkel nei giorni socrsi, proprio dopo le dimissioni di Stark, si è affrettata a sottolinearlo), il mercato continua a tremare. La politica dei salvataggi è osteggiata da molti, soprattutto fra i banchieri di quella Germania che è il paese di gran lunga più forte di Eurolandia.
Secondo questa linea, la Bce non dovrebbe intervenire come ha fatto, mettendo a repentaglio la stabilità di tutti per andare in soccorso di chi non ha rispettato i vincoli di bilancio. Una cosa è certa: Mario Draghi, quando si insedierà in novembre, non rischierà certo di annoiarsi.